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ARTICOLO APPARSO SUL NUMERO 16 (APRILE GENNAIO - MARZO 2014) di Incontrarte Magazine
YORK MINSTER
Il nome York mi è sempre stato familiare, lo avrò sentito pronunciare migliaia di volte ma non ho mai pensato a come potesse mai essere realmente questa città e nemmeno avevo mai avuto curiosità di saperlo. Poi quello che non pensi a volte accade … E così, quasi per caso, questa estate mi sono trovato a visitare “the city of York” nel North Yorkshire, Inghilterra del Nord. Non mi ero fatto un’idea di come potesse essere e pertanto non avevo alcuna aspettativa particolare.
Devo confessare che è stata una piacevolissima sorpresa. Al mio arrivo mi ha accolto una cinta muraria che racchiude il nucleo più antico della città, vestigia importanti che documentano un passato glorioso che affonda le origini nell’epoca romana. Le prime notizie risalgono al 71 DC, anno in cui si fa risalire la sua nascita a opera del governatore romano per la Britannia. In seguito, nonostante il susseguirsi di vari conquistatori e di alterne vicende politiche, la città, grazie anche alla sua posizione strategica, mantenne sempre un ruolo importante nell’economia e nella storia dell’Inghilterra del Nord. Ma non è certo di questo che voglio parlare.
La città sprigiona un fascino del tutto particolare e personale, in essa convivono edifici e monumenti di epoche molto diverse senza apparenti problemi, non ci si stupisce quindi di trovare monumenti medioevali vicini a imponenti edifici vittoriani o a sobri edifici in mattoni rossi di puro stile inglese. Nel centro storico permangono suggestive viuzze e piazzette in cui il tempo sembra essersi fermato. E’ facile trovare ancora mercatini di fiori, frutta e verdura, circondati da abitazioni che ricordano le case a graticcio del centro Europa. Basta però alzare lo sguardo, superate le sagome delle abitazioni di due o tre piani, per scorgere le torri della cattedrale. Un primo assaggio, uno scorcio da lontano che sembra volerti indicare la via per raggiungerla. Ed è proprio la cattedrale il monumento centrale e principale di York. A rimarcare l'importanza di questo edificio, la sua denominazione corrente non utilizza il termine “cathedral” bensì “minster”. Questa caratteristica definizione è attribuita alle chiese costruite in epoca Anglo-Sassone come avamposto per l'evangelizzazione dell'Inghilterra; attualmente viene usato come titolo onorifico. Il suo nome completo è: "The Cathedral and Metropolitical Church of St Peter in York" ed è inoltre la sede dell’arcivescovo di York che, nella gerarchia ecclesiastica anglicana, è secondo solo all’arcivescovo di Canterbury.
Seguendo le torri in breve giungo alla chiesa. E’ una visione assolutamente emozionante. La facciata principale non smentisce i canoni classici degli edifici gotici: ampi portali di ingresso, grande vetrata centrale e due torri. Direi che siamo perfettamente in linea con l’immagine di Notre Dame a Parigi, di Notre Dame de Chartres, della Cattedrale di Friburgo e tante altre. Quello che immediatamente colpisce l’osservatore sono le dimensioni. Già osservando dall’esterno, l’edificio si presenta maestoso e imponente, l’impressione è che sia notevolmente più ampio delle cattedrali che ho menzionato in precedenza. In seguito mi verrà confermato che quella di York è una delle cattedrali gotiche più ampie del Nord Europa, probabilmente seconda solo a quella di Norimberga. Una caratteristica che la differenzia dalle altre cattedrali è forse l’austerità e la semplicità dei prospetti esterni. Quello che manca è la presenza di statue o di sculture in genere. Anche i portali, di norma estremamente elaborati e ricchi di immagini, utilizzate per narrare eventi biblici o per evidenziare argomenti teologici, sono estremamente semplici, maestosi ma scarni.
Un’altra caratteristica che mi colpisce immediatamente è la presenza di una terza torre squadrata e imponente posizionata nella zona centrale della costruzione che ha la base a forma di croce. In pratica la torre svetta all’intersezione dei due bracci che compongono la croce . Per ammirare meglio questo particolare, mi porto verso il lato sud dove è presente un secondo ingresso, per essere sinceri mi renderò conto solo in seguito che tale portale viene utilizzato unicamente come uscita dopo la visita della cattedrale per una questione prettamente organizzativa. Sempre in tema di maestosità, questo ingresso ha dimensioni e imponenza che non sfigurerebbero nella facciata principale di una chiesa di buone dimensioni.
A questo punto ritengo sia giunto il momento di entrare per ammirare l’interno. Torno verso l’ingresso principale. Varco il portale di destra ed entro.
Una navata immensa mia accoglie. Mi guardo attorno quasi spaesato. C’è qualcosa che non torna. Mi manca l’impatto emozionale che ho sempre avvertito nella cattedrali gotiche fino a ora visitate. Forse sono solo alcuni dettagli che non mi permettono di assaporare in pieno lo slancio gotico verso l’alto. Ecco, per prima cosa mi colpisce la luminosità, una grande, intensa e diffusa luminosità. Questa luce esalta in modo spettacolare la vastità delle navate, amplificando, forse, ancora di più l’impressione di ampiezza della cattedrale. Un soffitto chiaro, di legno dipinto, e delle nervature puramente decorative, riducono il fascino degli archi acuti di pietra di altre cattedrali. Per finire, nella navata destra, vicina all’ingresso, è presente una struttura, totalmente estranea, utilizzata come desk per informazioni e vendita dei biglietti di ingresso per la visita. Direi un grande tocco di classe! Lasciamo da parte altre considerazioni, è meglio dedicarsi all’esplorazione del monumento. Evitando di creare parallelismi con altre cattedrali, cerco di guardare con occhi obiettivi quanto mi circonda. Quello che mi è mancato è la visione globale della chiesa. Mi metto al centro appena dentro il portale principale. Il colpo d’occhio è fantastico. Una serie ininterrotta di archi si sviluppa in modo continuo e regolare quasi senza fine … La lunghezza totale della chiesa dovrebbe essere attorno ai centosessanta metri. Una lunghezza senza dubbio ragguardevole. L’effetto sarebbe ancora più impressionante se nella navata centrale non ci fossero delle strutture a spezzarla. In effetti, prima della intersezione delle due navate perpendicolari, i bracci della croce, è stato eretto un altare, subito dopo, l’intersezione, è presente il grande coro centrale e il monumentale organo.
Come ho già accennato, l’interno è molto luminoso e ora ne capisco il motivo: sono presenti numerosissime vetrate. Una enorme è posta sopra il portale centrale d’ingresso, la più antica e la più grande vetrata medioevale, non per nulla la sua altezza e di ben 23 metri. E’ veramente bellissima, oltre alla raffinatezza delle immagini, nella parte alta vi è anche un settore di pietra molto intagliato e lavorato con motivi floreali. Nel centro il lavoro assume una forma particolare, vi si può vedere un grande cuore, comunemente chiamato “il cuore dello Yorkshire”. Altre numerose vetrate sono presenti lungo i lati della cattedrale, nelle navate laterali sono collocate in basso e nella navata centrale nella parte alta della costruzione. Anche la torre centrale, alta anch’essa circa 60 metri, ha una doppia serie di vetrate … E, ovviamente, anche da qui abbiamo una intensa discesa di luce, vi posso assicurare che l’effetto è assolutamente gradevole.
Proseguo verso la parte centrale della chiesa, giungo all’altare, direi nulla di più che uno strumento per le funzioni di culto: lineare, essenziale, senza particolari pretese di inserimento nel contesto.
Superato questo altare, mi trovo di fronte all’ingresso del coro, praticamente sotto la torre centrale, a sinistra una navata perpendicolare porta verso una grande vetrata e la Sala Capitolare, a destra la navata conduce all’uscita sud della cattedrale. Prima di visitare la struttura del coro, devo fermarmi ad ammirare “the kings screen” che separa il coro dalla navata. Questo divisorio prende il nome dalle numerose statue di re inglesi (da Guglielmo il Conquistatore a Enrico VI) in marmo chiaro su fondo rosso cupo. Senza dubbio un insieme molto scenografico che cattura lo sguardo e l'interesse del visitatore con il suo raffinato equilibrio di bianco, oro e rosso. Ed stato proprio questo particolare che mi ha fatto riconoscere questa cattedrale in alcune immagini di "Elisabeth - The Golden Age" film del 2007 con Cate Blanchett. In questa cattedrale sono state in effetti girate le scene dell'incoronazione di Elisabeth prima.
Per il momento preferisco non visitare il coro e decido si percorrere la navata sinistra. Quello che continua a stupirmi è la grande luminosità, alla fine di questa navata perpendicolare, una enorme vetrata dai colori delicati riversa all'interno della costruzione una enorme quantità di luce. Mentre cammino sul pavimento di marmo chiaro con intarsi neri, un rintocco metallico mi avverte della presenza di un orologio. Sulla parete, alla mia destra, a media altezza un grande orologio racchiuso in un arco acuto fa bella mostra di sé con i suoi numeri romani, le lancette dorate e i fregi rossi e grigi. Sotto il quadrante due cavalieri in armatura si muovono per colpire, ogni quarto d'ora, due tubi metallici e scandire l'incedere incessante del tempo. Dopo una sguardo abbastanza veloce alla vetrata mi dirigo verso la sala capitolare che dovrebbe essere molto interessante. Superato il breve corridoio di collegamento e varcata la doppia porta di ingresso mi trovo all'interno di una fantastica struttura. In effetti non mi ero sbagliato. La visione di questa sala è veramente emozionante e, anche se le vetrate non hanno la stessa intensa colorazione, per un attimo ho avuto l'impressione di trovarmi nella Sainte Chapelle di Parigi. Questa sala, dalla base ottagonale è veramente impressionante, la pareti sono quasi totalmente costituite da vetrate che si innalzano dai baldacchini sopra gli scranni fino a raggiungere il soffitto a volta in cui si congiungono le cuspidi degli archi in cui sono racchiuse le vetrate stesse. La sala non ha, al suo interno, alcuna colonna di sostegno, in tal modo viene accentuata l'impressione di vastità. Si ha l'impressione di essere di fronte a un grande e ardito progetto architettonico. Anche in questo caso questo effetto si è ottenuto con l'utilizzo di un soffitto in legno, la cui semplicità di posa ha permesso di raggiungere tali risultati. La sala è essenziale nella sua semplicità strutturale ma è particolarmente ricca di decori e di sculture. Lungo il perimetro sono collocati i seggi per i prelati partecipanti alle riunioni. Questi scranni di pietra sono sormontati da una specie di baldacchino marmoreo. Ed è proprio in questa parte che sono presenti numerosissime sculture, una diversa dall'altra, raffiguranti personaggi, animali o motivi floreali. E' difficile scorgere una logica nella loro distribuzione o nella alternanza dei soggetti, sembra infatti che sia stata data facoltà agli artisti di dar libero sfogo alla loro fantasia creativa. Sembra sia stata una scelta positiva perché il risultato è veramente affascinante. Su molti seggi è ancora presente una incisione che indica il personaggio a cui era riservato. Si potrebbe restare in questa sala per ore a osservare i particolari senza avere il dubbio di annoiarsi ma la cattedrale riserva ancora molte cose da scoprire è quindi opportuno riprendere la visita. Torno sui miei passi e, percorso un breve tratto della navata laterale, salgo alcuni gradini per entrare nell'area riservata al coro e all'altare maggiore. Oltre al passaggio centrale nel "the kings screen", esistono altri due ingressi per il coro. Avvicinandomi all'ingresso ho la percezione che qualcosa di particolare stia accadendo. In effetti all'interno si è insediamo il coro della cattedrale e stanno per iniziare le prove. Un'opportunità incredibile che mai avrei immaginato. Non ho grande dimestichezza con la musica e con i canti liturgici in genere e pertanto non sono in grado di dire che cosa stanno cantando. Se non vado errato, a tratti, sembra riecheggiare qualche accenno di canto gregoriano ma non ci giurerei. L'impatto è emozionante. Anche lo spettacolo d'insieme che mi sta davanti è veramente bellissimo. Se non avessi in tasca un cellulare e in mano una macchina fotografica digitale avrei difficoltà a datare quanto sto vedendo. Il grande coro ligneo, finemente intagliato e sovrastato da un enorme organo, è illuminato da numerose lampade sospese e da alcune, a forma di candela, sulla triplice fila di banchi. Molti dei seggi, in legno scuro, sono ancora ornati da stemmi araldici. Al centro della struttura, il direttore del coro, alto, ieratico, capelli bianchi fluenti, avvolto in una lunga tunica scarlatta, con ampi gesti dirige i suoi cantori. Questi, anch'essi con una lunga veste scura sovrastata da una cotta bianca, costituiscono una grande e vivida macchia chiara fluttuante all'interno dell'austero complesso. E' veramente uno spettacolo unico e impressionante, una grande atmosfera senza tempo. Se alle mie foto togliessi i colori, sarebbe difficile poter dire quando sono state scattate. Mi volgo verso l'altare e verso la parte finale della cattedrale. Un altare semplice dai paramenti color verde si appoggia a una struttura più alta di marmo ricca di archi e trafori, alle sue spalle l'ultima enorme vetrata funge da suggestivo sfondo. Non c'è che dire un insieme veramente maestoso, austero ed elegante nelle sue linee pulite ed essenziali. Sebbene con un certo dispiacere lascio il coro e mi reco nella parte finale della costruzione, dietro l'altare. Qui resto abbastanza perplesso ... Nella austera e classica architettura della chiesa è stato inserito, davanti alla grande vetrata, una specie di lucido igloo metallico di cui non si scorge alcuna apertura. Ci giro attorno e vedo una specie di ingresso, entro e mi trovo scaraventato in una struttura multimediale in cui vengono proiettati su vari schermi i filmati delle varie fasi di ristrutturazione della cattedrale. Altri computer permettono di approfondire la ricerca e di trovare altre informazioni sul complesso monumentale. Esco e torno nella realtà gotica che più mi coinvolge. Non metto in dubbio la validità di tali strumenti ma, onestamente, li avrei preferiti posizionati in modo diverso.
Ho l'impressione di aver concluso la visita, avviandomi verso l'uscita imbocco la navata opposta a quella utilizzata in precedenza. In corrispondenza dell'altare maggiore scopro una ripida scala di modeste dimensioni che scende verso il basso. La discendo e mi trovo nella cripta. La forte illuminazione non riesce a scacciare l'impressione claustrofobica del luogo. Il dedalo ci corridoi e di spazi più ampi è oppresso da un soffitto a volta basso, incombente. Un odore di umidità e di chiuso rendono la visita poco entusiasmante. Molti spazi sono interdetti alla visita e qua e là sono esposti reperti storici, una specie di piccolo museo. La struttura è antica, molto antica. Stili diversi stanno a dimostrare che in quel luogo si sono sovrapposte numerose costruzioni in periodi anche remoti; le prime testimonianze risalgono all'epoca romana. Senza dubbio testimonianze di una lunga storia e della grande importanza che York ha sempre avuto.
Risalgo in superficie e questa volta mi dirigo veramente verso l'uscita. Appena fuori cerco di cogliere nuovamente una visione d'insieme di York Minster per integrare la visione esterna con quella interna.
Me ne vado soddisfatto, è stata veramente una visita molto interessante. Ho apprezzato moltissimo la cattedrale e il suo gotico inglese, forse emotivamente non troppo coinvolgente ma senza dubbio maestoso e austero. Un gotico diverso, sobrio ma piacevole che non può che lasciare nel visitatore una grande ammirazione.
Link: http://www.associazioneincontrarte.it/GIORNALE/2014.02%20-%20Giornale%20Incontrarte.pdf
VIAGGI
VENARIA REALE
Me ne avevano parlato alcuni amici in tono entusiastico e avevo letto alcuni articoli ma, se devo essere sincero, non avevo capito completamente che cosa avrei visto.
Non nego che mi sono preparato alla visita di Venaria Reale con una buona dose di curiosità e con certe aspettative che speravo non fossero deluse.
Uscito dall’autostrada a pochi chilometri da Torino, una segnaletica puntuale e precisa, mi permette di raggiungere la destinazione senza la minima difficoltà. Questa è già una cosa estremamente positiva … Significa che la struttura ha alle spalle un’organizzazione che funziona. Anche i parcheggi sono numerosi e dislocati in vari punti di Venaria, disposti in modo da accogliere i visitatori in funzione della loro provenienza.
Lasciata l’auto, evitando di fare commenti sgradevoli sul costo e sulla modalità di pagamento, percorso un breve tratto a piedi, tra gli alberi, comincio a intravedere la sagoma di un grande edificio. Percorsi ancora pochi passi mi trovo in una piazzetta semicircolare … Anche se, probabilmente, non ho utilizzato il percorso più coreografico, quello che mi circonda è uno spettacolo emozionante. La Reggia sembra accogliermi e avvolgermi in un ampio, luminoso e caloroso abbraccio. La prima impressione è veramente molto positiva. Imponente, maestoso ma non incombente il palazzo, con la sua architettura molto articolata sembra accogliere con cortesia e disponibilità il visitatore.
Acquistati i biglietti, con una piantina in mano la complessa struttura diventa più comprensibile. Una delle prime cose che mi hanno colpito è la vastità e le dimensioni della costruzione, ovviamente senza tener conto dei grandissimi giardini. Non male come residenza destinata alla caccia e alle attività venatorie della famiglia Savoia.
Da un sommario esame mi rendo conto che le cose da vedere sono molte e se tralasciamo le mostre temporanee che vengono allestite al suo interno, nei piani alti, direi che potremmo riassumerle in modo sommario: l’ingresso con il cortile d’onore, il palazzo vero e proprio, le scuderie, la limonaia, la chiesa e, ovviamente, i giardini. Anche il borgo, a ridosso del palazzo penso valga la pena di essere visto. Non male come programma! Bisogna solo decidere da che parte cominciare.
La prima immagine che mi ha colpito, entrando nella piazza, è la Torre dell’Orologio, con la sua sagoma bianca e squadrata stagliata contro un terso cielo azzurro. Decido quindi di iniziare proprio da lì. Collocata tra la Reggia e il Castelvecchio ha funzione di ingresso per il palazzo, il cortile d’onore e i giardini. E’ una bella costruzione candida che funzionalmente si collega con il vecchio palazzo tutto arcate dello stesso colore. Questa parte del complesso tende a tinte chiare che si contrappongono a buona parte della reggia, delle scuderie e della citroniera costruite in mattoni rossi.
Oltrepassato il cancello si entra in un mondo diverso. Un ampio cortile lastricato fa bella mostra di sé tra le costruzioni perfettamente restaurate. Le alte coperture del corpo centrale con una serie ordinata di abbaini mi riportano alla mente certi eleganti palazzi di Parigi. Stessa impressione ma calati in una realtà circostante completamente diversa, là una serie continua di edifici, qui tutt’attorno campagna e sullo sfondo le Alpi. Solo accostandomi al parapetto sulla destra mi rendo conto che questo cortile è sopraelevato rispetto al giardino circostante, di fatto è una specie di grande terrazza. Le sorprese però non sono finite, al centro del cortile è stata realizzata una fontana, di quelle moderne … quelle che, quando non sono in funzione quasi non si vedono. Qui, nella bella stagione e nei giorni festivi, a mezzogiorno in punto inizia lo spettacolo d’acqua accompagnato da brani di musica classica. Sinceramente non è per questo che si viene a Venaria, ma comunque è un piacevole intermezzo. A questo punto decido di proseguire e visitare i giardini. Utilizzando una scala del Castelvecchio scendo al livello giardino. Sulla destra, dietro a una specie di boschetto si intravede uno specchio d’acqua … Un laghetto artificiale dalla forma perfettamente rettangolare. Proseguendo verso la parte bassa dei giardini si incontrano alcune sculture e realizzazioni artistiche dalla struttura contemporanea. Tutto sommato, inserite con un certo gusto, non stonano minimamente con il contesto circostante. Proseguo e giungo nel punto dove i giardini si allargano e si allungano. Difficile ricomprenderli tutti in un solo sguardo perché molto diversificati e disposti tutt’attorno al palazzo. La cosa che attrae la mia attenzione qui nel parco basso è un canali stretto e lungo che attraversa il giardino nel senso della lunghezza. Giunto fino al termine scopro gli scarsi resti di un antico tempio dedicato a Diana. Da quella posizione l’insieme acquisisce un fascino e una spettacolarità notevole: il canale lucente proteso verso i resti della imponente fontana di Ercole, sopra il possente corpo della reggia alle cui spalle si intravedono le colline e la sagoma indefinita del Santuario di Superga. Percorro a ritroso il parco basso per lo più composto da prati e piantagioni di alberi da frutta e mi avvicino alla parte alta. Qui il contesto cambia radicalmente … Giardini all’italiana pieni di fiori da una parte, dall’altra un vastissimo roseto e alte siepi regolari strutturate in ampi viali a volta per consentire di passeggiare all’ombra. Effettivamente sono molto belli e suggestivi. Certamente non è il parco della Reggia di Versailles o della Reggia di Caserta … Ma, nulla da dire, è comunque apprezzabile e degno di una visita.
Costeggio il palazzo per entrare a visitarlo. Scopro che l’ingresso è posto in una posizione strana … Sulla piazza, vicino alla Torre dell’orologio, alla base della Torre del Belvedere. Mi stupisce una collocazione così decentrata rispetto al palazzo stesso e dubito che quello sia mai stato un ingresso nobiliare. Comunque entro. Superato il controllo biglietti mi rendo conto di essere nella parte inferiore della costruzione, probabilmente le cantine o qualcosa di simile. I soffitti a volta avvolti in una leggera penombra mi accolgono per l’inizio del viaggio. Ora comincio a capire il senso di tale impostazione. Una lunga galleria tra dipinti e immagini multimediali mi introducono nella storia dei Savoia e del palazzo. Un percorso guidato tra immagini, dipinti, grafici e documenti delle varie epoche permette di seguire l’evoluzione delle dinastia Savoia e lo sviluppo della reggia di Venaria. Si possono vedere i progetti originali del 1600 e i suoi sviluppi negli anni successivi, fino al suo massimo fulgore nella metà del settecento. A metà ottocento il suo rapido declino … Vittorio Emanuele II la trasforma in caserma per l’esercito, destinandola in tal modo ad una inevitabile morte.
Una sezione è anche dedicata alla ciclopica opera di recupero e di restauro della Reggia. E’ veramente impressionante confrontare le immagini del palazzo prima dell’avvio del recupero e le immagini attuali. Da una situazione di totale abbandono e di decadenza assoluta si è giunti, con un restauro iniziato alla fine degli anni novanta, a una situazione di totale fruibilità del complesso monumentale.
Continuando nel percorso vengo colpito da strani e futuristici allestimenti. Una serie di schermi luminosi trasmettono senza soluzione di continuità immagini di personaggi dell’epoca (ovviamente interpretati da attori) che narrano episodi della loro vita. Più avanti, probabilmente in prossimità delle vecchie cucine ci vengono riproposti il rumore del lavoro che lì si svolgeva e le voci di chi ci lavorava. Una simpatica accozzaglia di suoni e rumori che per un po’ accompagnano il visitatore.
Finalmente delle scale mi riportano verso i piani superiori e verso una luce vivida e intensa. Si inizia quindi a visitare l’ampio piano terreno. Vaste sale fanno sfoggio della loro ampiezza, eleganza e ricercatezza architettonica. Le ampie finestre fanno godere di una bella vista sui giardini. Numerosi quadri impreziosiscono gli ambienti. Alcune altre sale sono, invece, ripopolate dalla spirito creativo di Peter Greenaway. Sulle quattro pareti vengono proiettate in simultanea una “processione” di personaggi storici che hanno frequentato il palazzo, un quintetto d’archi esegue musiche del tempo e un gruppetto di “pettegoli” (tra i quali spiccano Piero Chiambretti e Luciana Littizzetto) che commentano in modo dissacrante persone, viaggi e storie dell’epoca. Modo inusuale ma decisamente accattivante di creare un legame tra il palazzo, i suoi ospiti illustri e il moderno visitatore. Ai piani superiori, sempre ben restaurati, sono stati predisposti degli ampi spazi espositivi in cui vengono realizzate delle mostre tematiche e temporanee. In questo periodo sono attive due esposizioni, una di dipinti di Mattia Preti con ospite speciale un Caravaggio e un’altra dedicata allo stilista Roberto Capucci.
Di sala in sala, di arredo in arredo si giunge alla Galleria Grande, detta di Diana, opera del noto architetto dell’epoca Filippo Juvarra. Qui, inevitabilmente, non si può restare indifferenti alla bellezza di questa grande galleria che, secondo me, ha poco da invidiare alla Galleria degli Specchi di Versailles. Bellissima, di una luminosità e di una eleganza estrema, sarei rimasto ore a osservarla per coglierne gli aspetti decorativi e architettonici. Ma la visita non è finita e sono costretto a riprendere il percorso. Il tragitto totale percorribile all’interno della reggia dovrebbe raggiungere circa duemila metri, per lo meno è quello che ho visto in qualche nota. Giunto alla fine della galleria mi trovo nella torre Belvedere, fatta una curva a novanta gradi imbocco una piccola galleria che porta verso la Cappella Sant’Uberto, protettore della caccia, vista la destinazione della reggia, direi perfettamente in tema. La costruzione religiosa si affaccia anche sulla piazza vicino all’ingresso. Vista da fuori mi era piaciuta parecchio, stesso stile del palazzo e perfettamente integrata nell’architettura globale. Ancora pochi passi ed ecco una bella scalinata per scendere a vederla.
Più che una cappella quella che mi si presenta è una stupenda chiesa barocca. Senza dubbio un vero gioiello disegnato sempre dall’architetto Juvarra. La prima cosa che mi ha colpito è stata la luminosità che entra da ampie finestre. Anche i decori e i marmi di colore chiaro, accuratamente scelti, contribuiscono a rafforzare l’impressione di questa luminosità diffusa. Di pianta ottagonale contiene due altari, di cui uno particolarmente elaborato e ricco, e quattro cappelle. Belle statue e pregevoli dipinti la impreziosiscono senza rendere il barocco troppo pesante, come spesso accade.
Quasi con dispiacere esco per tornare alla galleria. Questo collegamento, più funzionale che estetico, ha il compito di collegare la reggia alle scuderie, alla citroneria, al maneggio e al deposito e cortile delle carrozze.
Le vecchie scuderie, estremamente vaste e di considerevole altezza sono ora utilizzate come ulteriore spazio espositivo. Fa impressione la sobria bellezza della loro realizzazione. In questo momento viene posta in mostra la “Barca Sublime”, imbarcazione voluta dai Savoia sul modello del Bucintoro Veneziano, nota imbarcazione di rappresentanza del Doge. L’esposizione dell’imbarcazione è accompagnata da una suggestiva rappresentazione multimediale che ne illustra la nascita ed è accompagnata dai commenti dei vari protagonisti coinvolti nella sua progettazione e realizzazione. Molti effetti speciali, belle immagini e un sottofondo coinvolgente rendono affascinanti i circa quaranta minuti di spettacolo.
Riprendo la galleria di collegamento e dopo pochi passi incontro la citroneria, pensavo qualcosa di più modesto … In realtà ha quasi le dimensioni e l’altezza della galleria grande, unica diversità è la mancanza di stucchi e decori. L’impressione che suscita è comunque notevole. In rapida successione prima di concludere passo attraverso le nuove scuderie o alfieriane, il cortile delle carrozze e il cortile dell’abbeveratoio. Percorso piacevole in mezzo a costruzioni perfettamente omogenee, rigorosamente in mattoni rossi. Nel cortile dell’abbeveratoio campeggiano ancora delle iscrizioni di quando la reggia fu trasformata in caserma.
La visita alla Reggia in senso stretto si conclude, appena lì fuori il borgo vecchio con la sua vita quotidiana. Per chi volesse ulteriormente conoscere il complesso della Venaria Reale, a pochi chilometri è visitabile il Parco della Mandria, enorme proprietà completamente recintata in cui è possibile fare passeggiate nella natura e visitare il castello.
Devo confessare che le mie aspettative non sono rimaste deluse. Questo complesso non può essere considerato un museo nel senso stretto del termine perché è qualcosa di più e di diverso. Nelle intenzione dei progettisti dovrebbe essere un modo nuovo di vivere un monumento patrimonio della nostra cultura, infatti oltre alla visita classica del sito si affiancano costantemente iniziative culturali e di spettacolo.
Non è sempre vero che in Italia tutto non funziona. A volte ci sono esempi, come questo, che dimostrano come sia possibile realizzare iniziative importanti a tutela del nostro patrimoni artistico e culturale senza naufragare in spese faraoniche o in sacche di inefficienza. Una realtà che costituisce il perfetto connubio tra il recupero del patrimonio culturale, la sua valorizzazione, l’utilizzo concreto e il ritorno economico che ne consentirà il mantenimento futuro.
Spero sinceramente che questa esperienza possa costituire il modello per altre iniziative di valorizzazione del nostro ampio patrimonio artistico e culturale.
YORK MINSTER
Il nome York mi è sempre stato familiare, lo avrò sentito pronunciare migliaia di volte ma non ho mai pensato a come potesse mai essere realmente questa città e nemmeno avevo mai avuto curiosità di saperlo. Poi quello che non pensi a volte accade … E così, quasi per caso, questa estate mi sono trovato a visitare “the city of York” nel North Yorkshire, Inghilterra del Nord. Non mi ero fatto un’idea di come potesse essere e pertanto non avevo alcuna aspettativa particolare.
Devo confessare che è stata una piacevolissima sorpresa. Al mio arrivo mi ha accolto una cinta muraria che racchiude il nucleo più antico della città, vestigia importanti che documentano un passato glorioso che affonda le origini nell’epoca romana. Le prime notizie risalgono al 71 DC, anno in cui si fa risalire la sua nascita a opera del governatore romano per la Britannia. In seguito, nonostante il susseguirsi di vari conquistatori e di alterne vicende politiche, la città, grazie anche alla sua posizione strategica, mantenne sempre un ruolo importante nell’economia e nella storia dell’Inghilterra del Nord. Ma non è certo di questo che voglio parlare.
La città sprigiona un fascino del tutto particolare e personale, in essa convivono edifici e monumenti di epoche molto diverse senza apparenti problemi, non ci si stupisce quindi di trovare monumenti medioevali vicini a imponenti edifici vittoriani o a sobri edifici in mattoni rossi di puro stile inglese. Nel centro storico permangono suggestive viuzze e piazzette in cui il tempo sembra essersi fermato. E’ facile trovare ancora mercatini di fiori, frutta e verdura, circondati da abitazioni che ricordano le case a graticcio del centro Europa. Basta però alzare lo sguardo, superate le sagome delle abitazioni di due o tre piani, per scorgere le torri della cattedrale. Un primo assaggio, uno scorcio da lontano che sembra volerti indicare la via per raggiungerla. Ed è proprio la cattedrale il monumento centrale e principale di York. A rimarcare l'importanza di questo edificio, la sua denominazione corrente non utilizza il termine “cathedral” bensì “minster”. Questa caratteristica definizione è attribuita alle chiese costruite in epoca Anglo-Sassone come avamposto per l'evangelizzazione dell'Inghilterra; attualmente viene usato come titolo onorifico. Il suo nome completo è: "The Cathedral and Metropolitical Church of St Peter in York" ed è inoltre la sede dell’arcivescovo di York che, nella gerarchia ecclesiastica anglicana, è secondo solo all’arcivescovo di Canterbury.
Seguendo le torri in breve giungo alla chiesa. E’ una visione assolutamente emozionante. La facciata principale non smentisce i canoni classici degli edifici gotici: ampi portali di ingresso, grande vetrata centrale e due torri. Direi che siamo perfettamente in linea con l’immagine di Notre Dame a Parigi, di Notre Dame de Chartres, della Cattedrale di Friburgo e tante altre. Quello che immediatamente colpisce l’osservatore sono le dimensioni. Già osservando dall’esterno, l’edificio si presenta maestoso e imponente, l’impressione è che sia notevolmente più ampio delle cattedrali che ho menzionato in precedenza. In seguito mi verrà confermato che quella di York è una delle cattedrali gotiche più ampie del Nord Europa, probabilmente seconda solo a quella di Norimberga. Una caratteristica che la differenzia dalle altre cattedrali è forse l’austerità e la semplicità dei prospetti esterni. Quello che manca è la presenza di statue o di sculture in genere. Anche i portali, di norma estremamente elaborati e ricchi di immagini, utilizzate per narrare eventi biblici o per evidenziare argomenti teologici, sono estremamente semplici, maestosi ma scarni.
Un’altra caratteristica che mi colpisce immediatamente è la presenza di una terza torre squadrata e imponente posizionata nella zona centrale della costruzione che ha la base a forma di croce. In pratica la torre svetta all’intersezione dei due bracci che compongono la croce . Per ammirare meglio questo particolare, mi porto verso il lato sud dove è presente un secondo ingresso, per essere sinceri mi renderò conto solo in seguito che tale portale viene utilizzato unicamente come uscita dopo la visita della cattedrale per una questione prettamente organizzativa. Sempre in tema di maestosità, questo ingresso ha dimensioni e imponenza che non sfigurerebbero nella facciata principale di una chiesa di buone dimensioni.
A questo punto ritengo sia giunto il momento di entrare per ammirare l’interno. Torno verso l’ingresso principale. Varco il portale di destra ed entro.
Una navata immensa mia accoglie. Mi guardo attorno quasi spaesato. C’è qualcosa che non torna. Mi manca l’impatto emozionale che ho sempre avvertito nella cattedrali gotiche fino a ora visitate. Forse sono solo alcuni dettagli che non mi permettono di assaporare in pieno lo slancio gotico verso l’alto. Ecco, per prima cosa mi colpisce la luminosità, una grande, intensa e diffusa luminosità. Questa luce esalta in modo spettacolare la vastità delle navate, amplificando, forse, ancora di più l’impressione di ampiezza della cattedrale. Un soffitto chiaro, di legno dipinto, e delle nervature puramente decorative, riducono il fascino degli archi acuti di pietra di altre cattedrali. Per finire, nella navata destra, vicina all’ingresso, è presente una struttura, totalmente estranea, utilizzata come desk per informazioni e vendita dei biglietti di ingresso per la visita. Direi un grande tocco di classe! Lasciamo da parte altre considerazioni, è meglio dedicarsi all’esplorazione del monumento. Evitando di creare parallelismi con altre cattedrali, cerco di guardare con occhi obiettivi quanto mi circonda. Quello che mi è mancato è la visione globale della chiesa. Mi metto al centro appena dentro il portale principale. Il colpo d’occhio è fantastico. Una serie ininterrotta di archi si sviluppa in modo continuo e regolare quasi senza fine … La lunghezza totale della chiesa dovrebbe essere attorno ai centosessanta metri. Una lunghezza senza dubbio ragguardevole. L’effetto sarebbe ancora più impressionante se nella navata centrale non ci fossero delle strutture a spezzarla. In effetti, prima della intersezione delle due navate perpendicolari, i bracci della croce, è stato eretto un altare, subito dopo, l’intersezione, è presente il grande coro centrale e il monumentale organo.
Come ho già accennato, l’interno è molto luminoso e ora ne capisco il motivo: sono presenti numerosissime vetrate. Una enorme è posta sopra il portale centrale d’ingresso, la più antica e la più grande vetrata medioevale, non per nulla la sua altezza e di ben 23 metri. E’ veramente bellissima, oltre alla raffinatezza delle immagini, nella parte alta vi è anche un settore di pietra molto intagliato e lavorato con motivi floreali. Nel centro il lavoro assume una forma particolare, vi si può vedere un grande cuore, comunemente chiamato “il cuore dello Yorkshire”. Altre numerose vetrate sono presenti lungo i lati della cattedrale, nelle navate laterali sono collocate in basso e nella navata centrale nella parte alta della costruzione. Anche la torre centrale, alta anch’essa circa 60 metri, ha una doppia serie di vetrate … E, ovviamente, anche da qui abbiamo una intensa discesa di luce, vi posso assicurare che l’effetto è assolutamente gradevole.
Proseguo verso la parte centrale della chiesa, giungo all’altare, direi nulla di più che uno strumento per le funzioni di culto: lineare, essenziale, senza particolari pretese di inserimento nel contesto.
Superato questo altare, mi trovo di fronte all’ingresso del coro, praticamente sotto la torre centrale, a sinistra una navata perpendicolare porta verso una grande vetrata e la Sala Capitolare, a destra la navata conduce all’uscita sud della cattedrale. Prima di visitare la struttura del coro, devo fermarmi ad ammirare “the kings screen” che separa il coro dalla navata. Questo divisorio prende il nome dalle numerose statue di re inglesi (da Guglielmo il Conquistatore a Enrico VI) in marmo chiaro su fondo rosso cupo. Senza dubbio un insieme molto scenografico che cattura lo sguardo e l'interesse del visitatore con il suo raffinato equilibrio di bianco, oro e rosso. Ed stato proprio questo particolare che mi ha fatto riconoscere questa cattedrale in alcune immagini di "Elisabeth - The Golden Age" film del 2007 con Cate Blanchett. In questa cattedrale sono state in effetti girate le scene dell'incoronazione di Elisabeth prima.
Per il momento preferisco non visitare il coro e decido si percorrere la navata sinistra. Quello che continua a stupirmi è la grande luminosità, alla fine di questa navata perpendicolare, una enorme vetrata dai colori delicati riversa all'interno della costruzione una enorme quantità di luce. Mentre cammino sul pavimento di marmo chiaro con intarsi neri, un rintocco metallico mi avverte della presenza di un orologio. Sulla parete, alla mia destra, a media altezza un grande orologio racchiuso in un arco acuto fa bella mostra di sé con i suoi numeri romani, le lancette dorate e i fregi rossi e grigi. Sotto il quadrante due cavalieri in armatura si muovono per colpire, ogni quarto d'ora, due tubi metallici e scandire l'incedere incessante del tempo. Dopo una sguardo abbastanza veloce alla vetrata mi dirigo verso la sala capitolare che dovrebbe essere molto interessante. Superato il breve corridoio di collegamento e varcata la doppia porta di ingresso mi trovo all'interno di una fantastica struttura. In effetti non mi ero sbagliato. La visione di questa sala è veramente emozionante e, anche se le vetrate non hanno la stessa intensa colorazione, per un attimo ho avuto l'impressione di trovarmi nella Sainte Chapelle di Parigi. Questa sala, dalla base ottagonale è veramente impressionante, la pareti sono quasi totalmente costituite da vetrate che si innalzano dai baldacchini sopra gli scranni fino a raggiungere il soffitto a volta in cui si congiungono le cuspidi degli archi in cui sono racchiuse le vetrate stesse. La sala non ha, al suo interno, alcuna colonna di sostegno, in tal modo viene accentuata l'impressione di vastità. Si ha l'impressione di essere di fronte a un grande e ardito progetto architettonico. Anche in questo caso questo effetto si è ottenuto con l'utilizzo di un soffitto in legno, la cui semplicità di posa ha permesso di raggiungere tali risultati. La sala è essenziale nella sua semplicità strutturale ma è particolarmente ricca di decori e di sculture. Lungo il perimetro sono collocati i seggi per i prelati partecipanti alle riunioni. Questi scranni di pietra sono sormontati da una specie di baldacchino marmoreo. Ed è proprio in questa parte che sono presenti numerosissime sculture, una diversa dall'altra, raffiguranti personaggi, animali o motivi floreali. E' difficile scorgere una logica nella loro distribuzione o nella alternanza dei soggetti, sembra infatti che sia stata data facoltà agli artisti di dar libero sfogo alla loro fantasia creativa. Sembra sia stata una scelta positiva perché il risultato è veramente affascinante. Su molti seggi è ancora presente una incisione che indica il personaggio a cui era riservato. Si potrebbe restare in questa sala per ore a osservare i particolari senza avere il dubbio di annoiarsi ma la cattedrale riserva ancora molte cose da scoprire è quindi opportuno riprendere la visita. Torno sui miei passi e, percorso un breve tratto della navata laterale, salgo alcuni gradini per entrare nell'area riservata al coro e all'altare maggiore. Oltre al passaggio centrale nel "the kings screen", esistono altri due ingressi per il coro. Avvicinandomi all'ingresso ho la percezione che qualcosa di particolare stia accadendo. In effetti all'interno si è insediamo il coro della cattedrale e stanno per iniziare le prove. Un'opportunità incredibile che mai avrei immaginato. Non ho grande dimestichezza con la musica e con i canti liturgici in genere e pertanto non sono in grado di dire che cosa stanno cantando. Se non vado errato, a tratti, sembra riecheggiare qualche accenno di canto gregoriano ma non ci giurerei. L'impatto è emozionante. Anche lo spettacolo d'insieme che mi sta davanti è veramente bellissimo. Se non avessi in tasca un cellulare e in mano una macchina fotografica digitale avrei difficoltà a datare quanto sto vedendo. Il grande coro ligneo, finemente intagliato e sovrastato da un enorme organo, è illuminato da numerose lampade sospese e da alcune, a forma di candela, sulla triplice fila di banchi. Molti dei seggi, in legno scuro, sono ancora ornati da stemmi araldici. Al centro della struttura, il direttore del coro, alto, ieratico, capelli bianchi fluenti, avvolto in una lunga tunica scarlatta, con ampi gesti dirige i suoi cantori. Questi, anch'essi con una lunga veste scura sovrastata da una cotta bianca, costituiscono una grande e vivida macchia chiara fluttuante all'interno dell'austero complesso. E' veramente uno spettacolo unico e impressionante, una grande atmosfera senza tempo. Se alle mie foto togliessi i colori, sarebbe difficile poter dire quando sono state scattate. Mi volgo verso l'altare e verso la parte finale della cattedrale. Un altare semplice dai paramenti color verde si appoggia a una struttura più alta di marmo ricca di archi e trafori, alle sue spalle l'ultima enorme vetrata funge da suggestivo sfondo. Non c'è che dire un insieme veramente maestoso, austero ed elegante nelle sue linee pulite ed essenziali. Sebbene con un certo dispiacere lascio il coro e mi reco nella parte finale della costruzione, dietro l'altare. Qui resto abbastanza perplesso ... Nella austera e classica architettura della chiesa è stato inserito, davanti alla grande vetrata, una specie di lucido igloo metallico di cui non si scorge alcuna apertura. Ci giro attorno e vedo una specie di ingresso, entro e mi trovo scaraventato in una struttura multimediale in cui vengono proiettati su vari schermi i filmati delle varie fasi di ristrutturazione della cattedrale. Altri computer permettono di approfondire la ricerca e di trovare altre informazioni sul complesso monumentale. Esco e torno nella realtà gotica che più mi coinvolge. Non metto in dubbio la validità di tali strumenti ma, onestamente, li avrei preferiti posizionati in modo diverso.
Ho l'impressione di aver concluso la visita, avviandomi verso l'uscita imbocco la navata opposta a quella utilizzata in precedenza. In corrispondenza dell'altare maggiore scopro una ripida scala di modeste dimensioni che scende verso il basso. La discendo e mi trovo nella cripta. La forte illuminazione non riesce a scacciare l'impressione claustrofobica del luogo. Il dedalo ci corridoi e di spazi più ampi è oppresso da un soffitto a volta basso, incombente. Un odore di umidità e di chiuso rendono la visita poco entusiasmante. Molti spazi sono interdetti alla visita e qua e là sono esposti reperti storici, una specie di piccolo museo. La struttura è antica, molto antica. Stili diversi stanno a dimostrare che in quel luogo si sono sovrapposte numerose costruzioni in periodi anche remoti; le prime testimonianze risalgono all'epoca romana. Senza dubbio testimonianze di una lunga storia e della grande importanza che York ha sempre avuto.
Risalgo in superficie e questa volta mi dirigo veramente verso l'uscita. Appena fuori cerco di cogliere nuovamente una visione d'insieme di York Minster per integrare la visione esterna con quella interna.
Me ne vado soddisfatto, è stata veramente una visita molto interessante. Ho apprezzato moltissimo la cattedrale e il suo gotico inglese, forse emotivamente non troppo coinvolgente ma senza dubbio maestoso e austero. Un gotico diverso, sobrio ma piacevole che non può che lasciare nel visitatore una grande ammirazione.
Link: http://www.associazioneincontrarte.it/GIORNALE/2014.02%20-%20Giornale%20Incontrarte.pdf
VIAGGI
VENARIA REALE
Me ne avevano parlato alcuni amici in tono entusiastico e avevo letto alcuni articoli ma, se devo essere sincero, non avevo capito completamente che cosa avrei visto.
Non nego che mi sono preparato alla visita di Venaria Reale con una buona dose di curiosità e con certe aspettative che speravo non fossero deluse.
Uscito dall’autostrada a pochi chilometri da Torino, una segnaletica puntuale e precisa, mi permette di raggiungere la destinazione senza la minima difficoltà. Questa è già una cosa estremamente positiva … Significa che la struttura ha alle spalle un’organizzazione che funziona. Anche i parcheggi sono numerosi e dislocati in vari punti di Venaria, disposti in modo da accogliere i visitatori in funzione della loro provenienza.
Lasciata l’auto, evitando di fare commenti sgradevoli sul costo e sulla modalità di pagamento, percorso un breve tratto a piedi, tra gli alberi, comincio a intravedere la sagoma di un grande edificio. Percorsi ancora pochi passi mi trovo in una piazzetta semicircolare … Anche se, probabilmente, non ho utilizzato il percorso più coreografico, quello che mi circonda è uno spettacolo emozionante. La Reggia sembra accogliermi e avvolgermi in un ampio, luminoso e caloroso abbraccio. La prima impressione è veramente molto positiva. Imponente, maestoso ma non incombente il palazzo, con la sua architettura molto articolata sembra accogliere con cortesia e disponibilità il visitatore.
Acquistati i biglietti, con una piantina in mano la complessa struttura diventa più comprensibile. Una delle prime cose che mi hanno colpito è la vastità e le dimensioni della costruzione, ovviamente senza tener conto dei grandissimi giardini. Non male come residenza destinata alla caccia e alle attività venatorie della famiglia Savoia.
Da un sommario esame mi rendo conto che le cose da vedere sono molte e se tralasciamo le mostre temporanee che vengono allestite al suo interno, nei piani alti, direi che potremmo riassumerle in modo sommario: l’ingresso con il cortile d’onore, il palazzo vero e proprio, le scuderie, la limonaia, la chiesa e, ovviamente, i giardini. Anche il borgo, a ridosso del palazzo penso valga la pena di essere visto. Non male come programma! Bisogna solo decidere da che parte cominciare.
La prima immagine che mi ha colpito, entrando nella piazza, è la Torre dell’Orologio, con la sua sagoma bianca e squadrata stagliata contro un terso cielo azzurro. Decido quindi di iniziare proprio da lì. Collocata tra la Reggia e il Castelvecchio ha funzione di ingresso per il palazzo, il cortile d’onore e i giardini. E’ una bella costruzione candida che funzionalmente si collega con il vecchio palazzo tutto arcate dello stesso colore. Questa parte del complesso tende a tinte chiare che si contrappongono a buona parte della reggia, delle scuderie e della citroniera costruite in mattoni rossi.
Oltrepassato il cancello si entra in un mondo diverso. Un ampio cortile lastricato fa bella mostra di sé tra le costruzioni perfettamente restaurate. Le alte coperture del corpo centrale con una serie ordinata di abbaini mi riportano alla mente certi eleganti palazzi di Parigi. Stessa impressione ma calati in una realtà circostante completamente diversa, là una serie continua di edifici, qui tutt’attorno campagna e sullo sfondo le Alpi. Solo accostandomi al parapetto sulla destra mi rendo conto che questo cortile è sopraelevato rispetto al giardino circostante, di fatto è una specie di grande terrazza. Le sorprese però non sono finite, al centro del cortile è stata realizzata una fontana, di quelle moderne … quelle che, quando non sono in funzione quasi non si vedono. Qui, nella bella stagione e nei giorni festivi, a mezzogiorno in punto inizia lo spettacolo d’acqua accompagnato da brani di musica classica. Sinceramente non è per questo che si viene a Venaria, ma comunque è un piacevole intermezzo. A questo punto decido di proseguire e visitare i giardini. Utilizzando una scala del Castelvecchio scendo al livello giardino. Sulla destra, dietro a una specie di boschetto si intravede uno specchio d’acqua … Un laghetto artificiale dalla forma perfettamente rettangolare. Proseguendo verso la parte bassa dei giardini si incontrano alcune sculture e realizzazioni artistiche dalla struttura contemporanea. Tutto sommato, inserite con un certo gusto, non stonano minimamente con il contesto circostante. Proseguo e giungo nel punto dove i giardini si allargano e si allungano. Difficile ricomprenderli tutti in un solo sguardo perché molto diversificati e disposti tutt’attorno al palazzo. La cosa che attrae la mia attenzione qui nel parco basso è un canali stretto e lungo che attraversa il giardino nel senso della lunghezza. Giunto fino al termine scopro gli scarsi resti di un antico tempio dedicato a Diana. Da quella posizione l’insieme acquisisce un fascino e una spettacolarità notevole: il canale lucente proteso verso i resti della imponente fontana di Ercole, sopra il possente corpo della reggia alle cui spalle si intravedono le colline e la sagoma indefinita del Santuario di Superga. Percorro a ritroso il parco basso per lo più composto da prati e piantagioni di alberi da frutta e mi avvicino alla parte alta. Qui il contesto cambia radicalmente … Giardini all’italiana pieni di fiori da una parte, dall’altra un vastissimo roseto e alte siepi regolari strutturate in ampi viali a volta per consentire di passeggiare all’ombra. Effettivamente sono molto belli e suggestivi. Certamente non è il parco della Reggia di Versailles o della Reggia di Caserta … Ma, nulla da dire, è comunque apprezzabile e degno di una visita.
Costeggio il palazzo per entrare a visitarlo. Scopro che l’ingresso è posto in una posizione strana … Sulla piazza, vicino alla Torre dell’orologio, alla base della Torre del Belvedere. Mi stupisce una collocazione così decentrata rispetto al palazzo stesso e dubito che quello sia mai stato un ingresso nobiliare. Comunque entro. Superato il controllo biglietti mi rendo conto di essere nella parte inferiore della costruzione, probabilmente le cantine o qualcosa di simile. I soffitti a volta avvolti in una leggera penombra mi accolgono per l’inizio del viaggio. Ora comincio a capire il senso di tale impostazione. Una lunga galleria tra dipinti e immagini multimediali mi introducono nella storia dei Savoia e del palazzo. Un percorso guidato tra immagini, dipinti, grafici e documenti delle varie epoche permette di seguire l’evoluzione delle dinastia Savoia e lo sviluppo della reggia di Venaria. Si possono vedere i progetti originali del 1600 e i suoi sviluppi negli anni successivi, fino al suo massimo fulgore nella metà del settecento. A metà ottocento il suo rapido declino … Vittorio Emanuele II la trasforma in caserma per l’esercito, destinandola in tal modo ad una inevitabile morte.
Una sezione è anche dedicata alla ciclopica opera di recupero e di restauro della Reggia. E’ veramente impressionante confrontare le immagini del palazzo prima dell’avvio del recupero e le immagini attuali. Da una situazione di totale abbandono e di decadenza assoluta si è giunti, con un restauro iniziato alla fine degli anni novanta, a una situazione di totale fruibilità del complesso monumentale.
Continuando nel percorso vengo colpito da strani e futuristici allestimenti. Una serie di schermi luminosi trasmettono senza soluzione di continuità immagini di personaggi dell’epoca (ovviamente interpretati da attori) che narrano episodi della loro vita. Più avanti, probabilmente in prossimità delle vecchie cucine ci vengono riproposti il rumore del lavoro che lì si svolgeva e le voci di chi ci lavorava. Una simpatica accozzaglia di suoni e rumori che per un po’ accompagnano il visitatore.
Finalmente delle scale mi riportano verso i piani superiori e verso una luce vivida e intensa. Si inizia quindi a visitare l’ampio piano terreno. Vaste sale fanno sfoggio della loro ampiezza, eleganza e ricercatezza architettonica. Le ampie finestre fanno godere di una bella vista sui giardini. Numerosi quadri impreziosiscono gli ambienti. Alcune altre sale sono, invece, ripopolate dalla spirito creativo di Peter Greenaway. Sulle quattro pareti vengono proiettate in simultanea una “processione” di personaggi storici che hanno frequentato il palazzo, un quintetto d’archi esegue musiche del tempo e un gruppetto di “pettegoli” (tra i quali spiccano Piero Chiambretti e Luciana Littizzetto) che commentano in modo dissacrante persone, viaggi e storie dell’epoca. Modo inusuale ma decisamente accattivante di creare un legame tra il palazzo, i suoi ospiti illustri e il moderno visitatore. Ai piani superiori, sempre ben restaurati, sono stati predisposti degli ampi spazi espositivi in cui vengono realizzate delle mostre tematiche e temporanee. In questo periodo sono attive due esposizioni, una di dipinti di Mattia Preti con ospite speciale un Caravaggio e un’altra dedicata allo stilista Roberto Capucci.
Di sala in sala, di arredo in arredo si giunge alla Galleria Grande, detta di Diana, opera del noto architetto dell’epoca Filippo Juvarra. Qui, inevitabilmente, non si può restare indifferenti alla bellezza di questa grande galleria che, secondo me, ha poco da invidiare alla Galleria degli Specchi di Versailles. Bellissima, di una luminosità e di una eleganza estrema, sarei rimasto ore a osservarla per coglierne gli aspetti decorativi e architettonici. Ma la visita non è finita e sono costretto a riprendere il percorso. Il tragitto totale percorribile all’interno della reggia dovrebbe raggiungere circa duemila metri, per lo meno è quello che ho visto in qualche nota. Giunto alla fine della galleria mi trovo nella torre Belvedere, fatta una curva a novanta gradi imbocco una piccola galleria che porta verso la Cappella Sant’Uberto, protettore della caccia, vista la destinazione della reggia, direi perfettamente in tema. La costruzione religiosa si affaccia anche sulla piazza vicino all’ingresso. Vista da fuori mi era piaciuta parecchio, stesso stile del palazzo e perfettamente integrata nell’architettura globale. Ancora pochi passi ed ecco una bella scalinata per scendere a vederla.
Più che una cappella quella che mi si presenta è una stupenda chiesa barocca. Senza dubbio un vero gioiello disegnato sempre dall’architetto Juvarra. La prima cosa che mi ha colpito è stata la luminosità che entra da ampie finestre. Anche i decori e i marmi di colore chiaro, accuratamente scelti, contribuiscono a rafforzare l’impressione di questa luminosità diffusa. Di pianta ottagonale contiene due altari, di cui uno particolarmente elaborato e ricco, e quattro cappelle. Belle statue e pregevoli dipinti la impreziosiscono senza rendere il barocco troppo pesante, come spesso accade.
Quasi con dispiacere esco per tornare alla galleria. Questo collegamento, più funzionale che estetico, ha il compito di collegare la reggia alle scuderie, alla citroneria, al maneggio e al deposito e cortile delle carrozze.
Le vecchie scuderie, estremamente vaste e di considerevole altezza sono ora utilizzate come ulteriore spazio espositivo. Fa impressione la sobria bellezza della loro realizzazione. In questo momento viene posta in mostra la “Barca Sublime”, imbarcazione voluta dai Savoia sul modello del Bucintoro Veneziano, nota imbarcazione di rappresentanza del Doge. L’esposizione dell’imbarcazione è accompagnata da una suggestiva rappresentazione multimediale che ne illustra la nascita ed è accompagnata dai commenti dei vari protagonisti coinvolti nella sua progettazione e realizzazione. Molti effetti speciali, belle immagini e un sottofondo coinvolgente rendono affascinanti i circa quaranta minuti di spettacolo.
Riprendo la galleria di collegamento e dopo pochi passi incontro la citroneria, pensavo qualcosa di più modesto … In realtà ha quasi le dimensioni e l’altezza della galleria grande, unica diversità è la mancanza di stucchi e decori. L’impressione che suscita è comunque notevole. In rapida successione prima di concludere passo attraverso le nuove scuderie o alfieriane, il cortile delle carrozze e il cortile dell’abbeveratoio. Percorso piacevole in mezzo a costruzioni perfettamente omogenee, rigorosamente in mattoni rossi. Nel cortile dell’abbeveratoio campeggiano ancora delle iscrizioni di quando la reggia fu trasformata in caserma.
La visita alla Reggia in senso stretto si conclude, appena lì fuori il borgo vecchio con la sua vita quotidiana. Per chi volesse ulteriormente conoscere il complesso della Venaria Reale, a pochi chilometri è visitabile il Parco della Mandria, enorme proprietà completamente recintata in cui è possibile fare passeggiate nella natura e visitare il castello.
Devo confessare che le mie aspettative non sono rimaste deluse. Questo complesso non può essere considerato un museo nel senso stretto del termine perché è qualcosa di più e di diverso. Nelle intenzione dei progettisti dovrebbe essere un modo nuovo di vivere un monumento patrimonio della nostra cultura, infatti oltre alla visita classica del sito si affiancano costantemente iniziative culturali e di spettacolo.
Non è sempre vero che in Italia tutto non funziona. A volte ci sono esempi, come questo, che dimostrano come sia possibile realizzare iniziative importanti a tutela del nostro patrimoni artistico e culturale senza naufragare in spese faraoniche o in sacche di inefficienza. Una realtà che costituisce il perfetto connubio tra il recupero del patrimonio culturale, la sua valorizzazione, l’utilizzo concreto e il ritorno economico che ne consentirà il mantenimento futuro.
Spero sinceramente che questa esperienza possa costituire il modello per altre iniziative di valorizzazione del nostro ampio patrimonio artistico e culturale.
Viaggi
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 12 - Luglio - Dicembre 2012
LA CATTEDRALE NOTRE DAME DE CHARTRES
Provenendo da Parigi, quando ancora sono lontano, la sua visione mi colpisce all’improvviso. La sua sagoma, al di sopra
della città, si staglia netta e prepotente contro il cielo. E’ quasi un miraggio che, avvicinandosi, velocemente sparisce per essere inghiottito dal contesto urbano. Questa fugace apparizione mi rapisce emi affascina e mi porta ad accelerare per giungere a toccarla al più presto. Addentrandomi nella città ho l’impressione di averla persa … Poi, per fortuna, lascio l’auto e mi incammino a piedi in
un centro storico che gradualmente mi fa tornare indietro nel tempo. Finalmente, sbucando da una strada stretta, me la trovo di fronte all’improvviso. L’ampia piazza permette di ammirare la facciata della Cattedrale in tutta la sua pallida maestosità. Quella che ho appena visto è la facciata occidentale che costituisce l’ingresso principale. Non si può dire che non sia una visione emozionante! Le cattedrali gotiche hanno sempre per me una fascino particolare, potrei restare ore a osservarne i particolari.
Imponente con le due torri mi sovrasta quasi lasciandomi senza fiato. Lentamente ne analizzo la struttura: tre ampi portali sovrastati da ampie finestre con vetrate policrome, un enorme rosone centrale e le due torri che nella parte alta hanno forme differenti, vettanti
verso il cielo. Questa particolarità potrebbe indurre a pensare a una mancanza di equilibrio o di simmetricità, ma direi che non è così … Le due torri sono bellissime e stanno bene così come sono. Il desiderio di entrare subito è forte, ma ritengo sia opportuno prima fare un giro tutt’attorno. Tutto il suo corpo di fabbrica non delude, anzi, vista da vicino se ne possono cogliere aspetti e dettagli volutamente preziosi e interessanti. Una piacevole sorpresa è il sontuoso portale Nord, a mio giudizio il più bello e ricco.
Chiamato anche “Portale dell’Alleanza” è fittamente adornato di statue che rappresentano scene dell’antico testamento e della vita della Vergine Maria, in particolare, nella lunetta, è rappresentata la sua incoronazione. Girando dietro l’abside si ha l’opportunità di ammirare l’ampio paesaggio sottostante. Un grande spazio verde degradante verso la pianura. Solo in quel momento mi rendo conto del motivo per cui la cattedrale era visibile da lontano giungendo da nord, in effetti la posizione elevata e privilegiata le consente di non aver alcun ostacolo che possa nasconderla. Si intuisce inoltre che solo da quel lato beneficia di tale prospettiva. Proseguendo, si giunge al portale Sud chiamato anche “Portale della Chiesa”. Qui sono visibili molti temi tra cui il giudizio universale nel timpano centrale, sulla destra i confessori, sono altresì presenti le raffigurazioni degli apostoli, dei martiri e l’adorazione dei Magi. Tornando quindi verso la facciata principale, mi accingo a oltrepassare il “Portale Reale”, senza dubbio sontuoso, ricco di ben trecento figure e circa venti grandi statue con ornamenti di chiaro influsso del precedente stile romanico.
La visita di una cattedrale gotica non è certo un’esperienza nuova. Notre Dame a Parigi, Strasburgo, Friburgo, Milano, Barcellona, Monastero di Batalha, Monastero di Alcobaca sono altrettanti gioielli dello stile gotico e quindi anche Chartres non dovrebbe rappresentare una novità o qualcosa di estremamente diverso. Varcata la soglia entro in un mondo nuovo. Probabilmente ho affrontato questa visita con troppa superficialità.
I primi timidi passi all’interno mi colgono quasi impreparato. Una penombra austera avvolge ogni cosa, forse anche la mia mente. Un silenzio composto e solenne mi sovrasta e smorza le parole ancora prima di essere pronunciate. Per alcuni minuti non posso far altro
che guardarmi attorno con la speranza di comprendere la sensazione particolare che si avvertono. La prima percezione è senza dubbio quella dell’immensità che mi ospita. Le altissime volte ogivali sembrano non dover finire mai, le imponenti colonne, a loro volta,
sembrano dover sostenere il cielo stesso. Quando gli occhi si sono abituati alla penombra pòsso cominciare a avanzare all’interno della navata principale, in modo quasi impercettibile il pavimento è in salita e questo, passo dopo passo, dà l’impressione di salire …
Ora comincio a vedere la luce che, alle mie spalle, filtra dal rosone centrale. Tutto sta assumendo una luminosità nuova e diversa. Lentamente mi avvicino al labirinto tracciato nel pavimento della cattedrale e spontaneamente osservo le nervature e gli intrecci delle volte che si innalzano sopra l’abside. Penso che questa costruzione racchiuda in sé tutto lo slancio ideale del gotico verso il
cielo. In effetti c’è un momento in cui ci si sente rapiti verso l’alto in una sensazione mai provata prima di allora … Mi rendo conto che in quel preciso istante sono giunto al centro del labirinto. E’ qualcosa di indescrivibile e irripetibile, non penso sia ascrivibile a facili fenomeni di suggestione. Una forma di energia pervade le navate della cattedrale e sembra coinvolgere l’ignaro visitatore. Non sono una persona facilmente impressionabile o influenzabile ma posso garantire che si avverte un ché di strano e profondo, come qualcosa che viene da molto lontano. Solo più tardi, la mia guida spiegherà che, secondo tradizioni antiche, il luogo su cui sorge la chiesa è il centro del congiungimento di “energie e radiazioni cosmiche”. Per tale motivo, quel posto è sempre stato utilizzato per ospitare edifici di culto, sembra che già i Druidi, sacerdoti della civiltà celtica, lo avessero utilizzato per i loro riti. Dopo di loro, nel corso dei secoli, altri culti edificarono almeno una dozzina di altre costruzioni sacre.
Con un piccolo sforzo cerco di scrollarmi di dosso questa sensazione per poter riprendere la visita alla cattedrale. Guardandomi attorno, torna prepotente e tangibile la maestosità della costruzione e della sua storia. La cattedrale originaria fu costruita nel quinto secolo, probabilmente in stile romanico con soffitti in legno. Un incendio, come nel romanzo “I pilastri della terra” di Ken Follet, la distrusse completamente. La popolazione di Chartres, decise di ricostruire la chiesa in modo che nulla potesse più distruggerla. Le nuove conoscenze architettoniche, importate probabilmente dai Templari al ritorno dalle Crociate, permise di realizzare il loro progetto. In soli venticinque anni la popolazione realizzò la cattedrale che nel 1220 assunse l’aspetto definitivo che anche noi oggi possiamo ammirare. Lascia perplessi e stupiti la rapidità con cui è stata portata a termine un’opera così ciclopica, soprattutto se si tiene conto della scarsità di mezzi d’opera a disposizione in quell’epoca. Ma questa non è l’unica cosa particolare o strana
in questa fantastica costruzione, ma di ciò parleremo più avanti.
Prima però di allontanarmi, vale la pena di parlare del labirinto. Io, per natura piuttosto frettoloso, sono andato dritto al centro, ma la devozione antica prescrive che tutto il labirinto debba essere percorso rigorosamente in ginocchio affinché lo spirito del pellegrino, attraverso un percorso interiore, possa evolversi e innalzarsi a un livello superiore e il centro dovrebbe rappresentare la sacralità. Compiere questa penitenza costituiva il mezzo per ottenere dalla Chiesa indulgenze particolari ed equivaleva a un pellegrinaggio in Terra Santa. Incastonato nel pavimento il tracciato del labirinto ha un diametro di quasi tredici metri e uno sviluppo di oltre duecentosessanta metri. Questo è forse il più ampio labirinto medioevale giunto intatto fino ai giorni nostri. Peccato che tutto il tracciato non sia sempre visibile in quanto, solo di rado, vengono spostate le sedie che vi sono poggiate sopra. Volgendo lo
sguardo verso l’altro mi rendo conto che oltre all’imponente rosone esiste un numero importante di bellissime e ampie vetrate, dovrebbero essere circa centosettanta. Queste vetrate non rappresentano solo un ornamento e una fonte di luce per la cattedrale ma un formidabile strumento di divulgazione religiosa. I vetrai hanno usato il vetro per raccontare anche storie della Bibbia, un po’ come gli scultori hanno fatto con la pietra nei portali. Queste vetrate sono quasi tutte originali, per fortuna solo poche sono state distrutte durante la Rivoluzione Francese.
In questa Cattedrale è conservata una reliquia molto importante che fu offerta nell'876 alla cattedrale da Carlo il Calvo, imperatore del Sacro Romano Impero. Secondo la tradizione, il Velo della Vergine è la camicia che portava Maria al momento dell'Annunciazione, quando concepì il Verbo. Durante l'incendio della vecchia chiesa, nel 1194, si credette che il Velo
della Vergine fosse andato perduto ma venne ritrovato intatto: questo fu interpretato come il desiderio manifestato dal la Vergine Maria di avere una chiesa più grande per la sua reliquia, da qui il motivo della immediata ricostruzione dell’edificio.
Passando a osservare i fregi e gli ornamenti dei capitelli e delle colonne si scoprono interessanti simboli esoterici. Direi che tutta la struttura è fittamente intrisa di tale simbologia, si ripetono intarsi riguardanti la morte, l’abbondanza, la pudicizia, la vita ma anche la peste, la carestia, il leone, il drago, il serpente, ecc. Anche le misure, a volte, si ripetono e sembrano non essere casuali, infatti le distanze tra le colonne e la lunghezza delle navate, dei transetti e del coro, sono tutti multipli del famoso numero aureo (1,618), già conosciuto dai greci al tempo di Fidia.
Un discorso del tutto particolare va riservato alla famosa statua della Madonna Nera. La tradizione vuole che questa effige
abbia origini antichissime, addirittura prima della nascita di Cristo, e sarebbe stata realizzata dai Druidi a seguito della profezia che una Vergine avrebbe partorito un dio. Una volta scolpita nel legno di pero la Vergine con il Bambino in grembo, venne eretto un altare in suo onore e la statua fu nascosta in una grotta nella foresta , divenne in breve tempo oggetto di un vero culto. Più tardi, con l’avvento del Cristianesimo la statua venne accolta dai fedeli come rappresentazione della Madonna. Con il passare del tempo il
legno acquisì una colorazione scura, di qui il nome di Madonna Nera. Non è comunque il solo esempio di rappresentazione della madre di Gesù con colore scuro, in Francia se ne conoscono numerosissime (circa un centinaio), anche in Italia sono piuttosto numerose tra le più famose quelle di Loreto, Crea del Monferrato, Lucca, Oropa, Pescasseroli, Rivoli, Roma, San Severo, Tindari, Venezia, Graglia(BI), Groscavallo(TO),Forno Alpi Graie, Sampeyre(CN), Becetto, Trana(TO), Tolentino(MC), Settefrati(FR), Foggia e anche nel Santuario di Santa Maria del Monte a Varese ne è presente una molto bella (di cui abbiamo avuto occasione di parlare in un articolo
precedente).
Tornando alla Madonna di Chartres, va sottolineato che quella che è esposta nella cripta della cattedrale è in realtà, seppur assolutamente fedele, una copia realizzata su documentazione storica in epoca relativamente recente, in quanto l’originale fu
distrutto ai tempi della Rivoluzione Francese.
Chartres viene anche definita la Cattedrale dei misteri perché, oltre al tempo estremamente contenuto per la sua realizzazione, vi sono altri elementi difficili da spiegare che sono in bilico tra storia e leggenda. Per esempio tra le cose che non hanno mai avuto una spiegazione è la presenza di un lastrone di pietra rettangolare posto obliquamente rispetto alle pietre che costituiscono il
pavimento dell'ala ovest della cattedrale. Ci è stato detto che, a mezzogiorno del solstizio d'estate, un raggio di sole penetra attraverso una vetrata che raffigura S. Apollinare e illumina, con molta precisione, la lastra di pietra, difficile pensare a un puro caso.
Altrettanto misterioso è che nel grande complesso di decorazioni che riguardano la cattedrale di Chartres, si dice che siano presenti delle le tracce per rinvenire l'ARCA DELL'ALLEANZA che, secondo la leggenda, venne portata in Occidente dai Cavalieri Templari.
Ho l’impressione che tutti questi elementi stiano distraendo l’attenzione dalle cose importanti. A questo punto ritengo sia opportuno tornare rigorosamente alla cattedrale e solo a lei tralasciando quanto non strettamente pertinente. Mi guardo nuovamente
attorno, sgombrando la mente da ogni interferenza, la chiesa è bellissima! Non ho alcun dubbio in proposito, Notre Dame de Chartres per me è la più bella ed emozionante cattedrale gotica che ho visto: un insieme perfetto di austerità, purezza architettonica e misticismo. Al momento di dover uscire provo quasi un dolore fisico perché sono certo che appena fuori qualcosa mi mancherà. All'interno della cattedrale si respira un'aria di intensa spiritualità soffusa da un leggero senso di mistero, un ché si sospeso... La visita è un’esperienza che non lascia indifferenti, è qualcosa che mi ha toccato dentro, nel profondo.
E' uno di quei luoghi in cui aleggia qualcosa di indefinibile, di impalpabile ma reale … qualcosa che porti con te a lungo.
Per leggere l'articolo e il giornale, ecco il sito :
http://www.associazioneincontrarte.it/
Provenendo da Parigi, quando ancora sono lontano, la sua visione mi colpisce all’improvviso. La sua sagoma, al di sopra
della città, si staglia netta e prepotente contro il cielo. E’ quasi un miraggio che, avvicinandosi, velocemente sparisce per essere inghiottito dal contesto urbano. Questa fugace apparizione mi rapisce emi affascina e mi porta ad accelerare per giungere a toccarla al più presto. Addentrandomi nella città ho l’impressione di averla persa … Poi, per fortuna, lascio l’auto e mi incammino a piedi in
un centro storico che gradualmente mi fa tornare indietro nel tempo. Finalmente, sbucando da una strada stretta, me la trovo di fronte all’improvviso. L’ampia piazza permette di ammirare la facciata della Cattedrale in tutta la sua pallida maestosità. Quella che ho appena visto è la facciata occidentale che costituisce l’ingresso principale. Non si può dire che non sia una visione emozionante! Le cattedrali gotiche hanno sempre per me una fascino particolare, potrei restare ore a osservarne i particolari.
Imponente con le due torri mi sovrasta quasi lasciandomi senza fiato. Lentamente ne analizzo la struttura: tre ampi portali sovrastati da ampie finestre con vetrate policrome, un enorme rosone centrale e le due torri che nella parte alta hanno forme differenti, vettanti
verso il cielo. Questa particolarità potrebbe indurre a pensare a una mancanza di equilibrio o di simmetricità, ma direi che non è così … Le due torri sono bellissime e stanno bene così come sono. Il desiderio di entrare subito è forte, ma ritengo sia opportuno prima fare un giro tutt’attorno. Tutto il suo corpo di fabbrica non delude, anzi, vista da vicino se ne possono cogliere aspetti e dettagli volutamente preziosi e interessanti. Una piacevole sorpresa è il sontuoso portale Nord, a mio giudizio il più bello e ricco.
Chiamato anche “Portale dell’Alleanza” è fittamente adornato di statue che rappresentano scene dell’antico testamento e della vita della Vergine Maria, in particolare, nella lunetta, è rappresentata la sua incoronazione. Girando dietro l’abside si ha l’opportunità di ammirare l’ampio paesaggio sottostante. Un grande spazio verde degradante verso la pianura. Solo in quel momento mi rendo conto del motivo per cui la cattedrale era visibile da lontano giungendo da nord, in effetti la posizione elevata e privilegiata le consente di non aver alcun ostacolo che possa nasconderla. Si intuisce inoltre che solo da quel lato beneficia di tale prospettiva. Proseguendo, si giunge al portale Sud chiamato anche “Portale della Chiesa”. Qui sono visibili molti temi tra cui il giudizio universale nel timpano centrale, sulla destra i confessori, sono altresì presenti le raffigurazioni degli apostoli, dei martiri e l’adorazione dei Magi. Tornando quindi verso la facciata principale, mi accingo a oltrepassare il “Portale Reale”, senza dubbio sontuoso, ricco di ben trecento figure e circa venti grandi statue con ornamenti di chiaro influsso del precedente stile romanico.
La visita di una cattedrale gotica non è certo un’esperienza nuova. Notre Dame a Parigi, Strasburgo, Friburgo, Milano, Barcellona, Monastero di Batalha, Monastero di Alcobaca sono altrettanti gioielli dello stile gotico e quindi anche Chartres non dovrebbe rappresentare una novità o qualcosa di estremamente diverso. Varcata la soglia entro in un mondo nuovo. Probabilmente ho affrontato questa visita con troppa superficialità.
I primi timidi passi all’interno mi colgono quasi impreparato. Una penombra austera avvolge ogni cosa, forse anche la mia mente. Un silenzio composto e solenne mi sovrasta e smorza le parole ancora prima di essere pronunciate. Per alcuni minuti non posso far altro
che guardarmi attorno con la speranza di comprendere la sensazione particolare che si avvertono. La prima percezione è senza dubbio quella dell’immensità che mi ospita. Le altissime volte ogivali sembrano non dover finire mai, le imponenti colonne, a loro volta,
sembrano dover sostenere il cielo stesso. Quando gli occhi si sono abituati alla penombra pòsso cominciare a avanzare all’interno della navata principale, in modo quasi impercettibile il pavimento è in salita e questo, passo dopo passo, dà l’impressione di salire …
Ora comincio a vedere la luce che, alle mie spalle, filtra dal rosone centrale. Tutto sta assumendo una luminosità nuova e diversa. Lentamente mi avvicino al labirinto tracciato nel pavimento della cattedrale e spontaneamente osservo le nervature e gli intrecci delle volte che si innalzano sopra l’abside. Penso che questa costruzione racchiuda in sé tutto lo slancio ideale del gotico verso il
cielo. In effetti c’è un momento in cui ci si sente rapiti verso l’alto in una sensazione mai provata prima di allora … Mi rendo conto che in quel preciso istante sono giunto al centro del labirinto. E’ qualcosa di indescrivibile e irripetibile, non penso sia ascrivibile a facili fenomeni di suggestione. Una forma di energia pervade le navate della cattedrale e sembra coinvolgere l’ignaro visitatore. Non sono una persona facilmente impressionabile o influenzabile ma posso garantire che si avverte un ché di strano e profondo, come qualcosa che viene da molto lontano. Solo più tardi, la mia guida spiegherà che, secondo tradizioni antiche, il luogo su cui sorge la chiesa è il centro del congiungimento di “energie e radiazioni cosmiche”. Per tale motivo, quel posto è sempre stato utilizzato per ospitare edifici di culto, sembra che già i Druidi, sacerdoti della civiltà celtica, lo avessero utilizzato per i loro riti. Dopo di loro, nel corso dei secoli, altri culti edificarono almeno una dozzina di altre costruzioni sacre.
Con un piccolo sforzo cerco di scrollarmi di dosso questa sensazione per poter riprendere la visita alla cattedrale. Guardandomi attorno, torna prepotente e tangibile la maestosità della costruzione e della sua storia. La cattedrale originaria fu costruita nel quinto secolo, probabilmente in stile romanico con soffitti in legno. Un incendio, come nel romanzo “I pilastri della terra” di Ken Follet, la distrusse completamente. La popolazione di Chartres, decise di ricostruire la chiesa in modo che nulla potesse più distruggerla. Le nuove conoscenze architettoniche, importate probabilmente dai Templari al ritorno dalle Crociate, permise di realizzare il loro progetto. In soli venticinque anni la popolazione realizzò la cattedrale che nel 1220 assunse l’aspetto definitivo che anche noi oggi possiamo ammirare. Lascia perplessi e stupiti la rapidità con cui è stata portata a termine un’opera così ciclopica, soprattutto se si tiene conto della scarsità di mezzi d’opera a disposizione in quell’epoca. Ma questa non è l’unica cosa particolare o strana
in questa fantastica costruzione, ma di ciò parleremo più avanti.
Prima però di allontanarmi, vale la pena di parlare del labirinto. Io, per natura piuttosto frettoloso, sono andato dritto al centro, ma la devozione antica prescrive che tutto il labirinto debba essere percorso rigorosamente in ginocchio affinché lo spirito del pellegrino, attraverso un percorso interiore, possa evolversi e innalzarsi a un livello superiore e il centro dovrebbe rappresentare la sacralità. Compiere questa penitenza costituiva il mezzo per ottenere dalla Chiesa indulgenze particolari ed equivaleva a un pellegrinaggio in Terra Santa. Incastonato nel pavimento il tracciato del labirinto ha un diametro di quasi tredici metri e uno sviluppo di oltre duecentosessanta metri. Questo è forse il più ampio labirinto medioevale giunto intatto fino ai giorni nostri. Peccato che tutto il tracciato non sia sempre visibile in quanto, solo di rado, vengono spostate le sedie che vi sono poggiate sopra. Volgendo lo
sguardo verso l’altro mi rendo conto che oltre all’imponente rosone esiste un numero importante di bellissime e ampie vetrate, dovrebbero essere circa centosettanta. Queste vetrate non rappresentano solo un ornamento e una fonte di luce per la cattedrale ma un formidabile strumento di divulgazione religiosa. I vetrai hanno usato il vetro per raccontare anche storie della Bibbia, un po’ come gli scultori hanno fatto con la pietra nei portali. Queste vetrate sono quasi tutte originali, per fortuna solo poche sono state distrutte durante la Rivoluzione Francese.
In questa Cattedrale è conservata una reliquia molto importante che fu offerta nell'876 alla cattedrale da Carlo il Calvo, imperatore del Sacro Romano Impero. Secondo la tradizione, il Velo della Vergine è la camicia che portava Maria al momento dell'Annunciazione, quando concepì il Verbo. Durante l'incendio della vecchia chiesa, nel 1194, si credette che il Velo
della Vergine fosse andato perduto ma venne ritrovato intatto: questo fu interpretato come il desiderio manifestato dal la Vergine Maria di avere una chiesa più grande per la sua reliquia, da qui il motivo della immediata ricostruzione dell’edificio.
Passando a osservare i fregi e gli ornamenti dei capitelli e delle colonne si scoprono interessanti simboli esoterici. Direi che tutta la struttura è fittamente intrisa di tale simbologia, si ripetono intarsi riguardanti la morte, l’abbondanza, la pudicizia, la vita ma anche la peste, la carestia, il leone, il drago, il serpente, ecc. Anche le misure, a volte, si ripetono e sembrano non essere casuali, infatti le distanze tra le colonne e la lunghezza delle navate, dei transetti e del coro, sono tutti multipli del famoso numero aureo (1,618), già conosciuto dai greci al tempo di Fidia.
Un discorso del tutto particolare va riservato alla famosa statua della Madonna Nera. La tradizione vuole che questa effige
abbia origini antichissime, addirittura prima della nascita di Cristo, e sarebbe stata realizzata dai Druidi a seguito della profezia che una Vergine avrebbe partorito un dio. Una volta scolpita nel legno di pero la Vergine con il Bambino in grembo, venne eretto un altare in suo onore e la statua fu nascosta in una grotta nella foresta , divenne in breve tempo oggetto di un vero culto. Più tardi, con l’avvento del Cristianesimo la statua venne accolta dai fedeli come rappresentazione della Madonna. Con il passare del tempo il
legno acquisì una colorazione scura, di qui il nome di Madonna Nera. Non è comunque il solo esempio di rappresentazione della madre di Gesù con colore scuro, in Francia se ne conoscono numerosissime (circa un centinaio), anche in Italia sono piuttosto numerose tra le più famose quelle di Loreto, Crea del Monferrato, Lucca, Oropa, Pescasseroli, Rivoli, Roma, San Severo, Tindari, Venezia, Graglia(BI), Groscavallo(TO),Forno Alpi Graie, Sampeyre(CN), Becetto, Trana(TO), Tolentino(MC), Settefrati(FR), Foggia e anche nel Santuario di Santa Maria del Monte a Varese ne è presente una molto bella (di cui abbiamo avuto occasione di parlare in un articolo
precedente).
Tornando alla Madonna di Chartres, va sottolineato che quella che è esposta nella cripta della cattedrale è in realtà, seppur assolutamente fedele, una copia realizzata su documentazione storica in epoca relativamente recente, in quanto l’originale fu
distrutto ai tempi della Rivoluzione Francese.
Chartres viene anche definita la Cattedrale dei misteri perché, oltre al tempo estremamente contenuto per la sua realizzazione, vi sono altri elementi difficili da spiegare che sono in bilico tra storia e leggenda. Per esempio tra le cose che non hanno mai avuto una spiegazione è la presenza di un lastrone di pietra rettangolare posto obliquamente rispetto alle pietre che costituiscono il
pavimento dell'ala ovest della cattedrale. Ci è stato detto che, a mezzogiorno del solstizio d'estate, un raggio di sole penetra attraverso una vetrata che raffigura S. Apollinare e illumina, con molta precisione, la lastra di pietra, difficile pensare a un puro caso.
Altrettanto misterioso è che nel grande complesso di decorazioni che riguardano la cattedrale di Chartres, si dice che siano presenti delle le tracce per rinvenire l'ARCA DELL'ALLEANZA che, secondo la leggenda, venne portata in Occidente dai Cavalieri Templari.
Ho l’impressione che tutti questi elementi stiano distraendo l’attenzione dalle cose importanti. A questo punto ritengo sia opportuno tornare rigorosamente alla cattedrale e solo a lei tralasciando quanto non strettamente pertinente. Mi guardo nuovamente
attorno, sgombrando la mente da ogni interferenza, la chiesa è bellissima! Non ho alcun dubbio in proposito, Notre Dame de Chartres per me è la più bella ed emozionante cattedrale gotica che ho visto: un insieme perfetto di austerità, purezza architettonica e misticismo. Al momento di dover uscire provo quasi un dolore fisico perché sono certo che appena fuori qualcosa mi mancherà. All'interno della cattedrale si respira un'aria di intensa spiritualità soffusa da un leggero senso di mistero, un ché si sospeso... La visita è un’esperienza che non lascia indifferenti, è qualcosa che mi ha toccato dentro, nel profondo.
E' uno di quei luoghi in cui aleggia qualcosa di indefinibile, di impalpabile ma reale … qualcosa che porti con te a lungo.
Per leggere l'articolo e il giornale, ecco il sito :
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Letteratura
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 11 - Aprile - Giugno 2012
Nonostante sia nato alla fine del milleottocento Franz Kafka sembra vivere la realtà dei giorni nostri, in effetti le problematiche trattate nei suoi scritti sono di un’attualità impressionante. La sua breve vita non gli ha consentito di realizzare un elevato numero di opere letterarie, tre romanzi e una manciata di racconti, ma a sua eredità ha lasciato un segno indelebile nella storia della letteratura
mondiale. Non sono molti gli autori che possono vantare il fatto che la società ha avuto la necessità di utilizzare un aggettivo derivato dal loro nome; il termine “kafkiano” è entrato a pieno titolo nel nostro vocabolario per indicare qualcosa di molto particolare (inquieto,
angoscioso, desolante, paradossale,
allucinante, assurdo). Altrettanto particolare appare tutto quanto è riferito a questo autore e al suo mondo circostante e interiore. In lui si fondono molteplici influssi provenienti dalle sue radici come il gusto del mistero tipico della sua città natale Praga, il
senso di colpa e di persecuzione che accompagnano le sue origini ebree e certi aspetti dell’irrazionalità del romanticismo tedesco. Tutto ciò, probabilmente, non sarebbe stato sufficiente a creare l’unicità delle sue opere se egli non vi avesse portato le sue ossessioni,
angosce e turbamenti personali derivanti da un difficile rapporto con il padre, una malattia incombente che lo porterà alla morte e un amore infelice con una giovane intellettuale. A questo punto viene spontaneo chiedersi che cosa lo renda ancora attuale e perché il suo mondo assurdo e deformato sia così simile a quello che ci circonda. La risposta potrebbe risiedere nel fatto che Kafka mette
in luce il disagio dell’uomo di fronte all’impossibilità di definire la propria identità, di dare un senso alla vita e di dover affrontare un mondo incomprensibile, minaccioso e ostile in cui spesso si è chiamati a rispondere di colpe sconosciute. Ed è in questa ottica che Kafka scrive i due suoi più famosi romanzi “Il processo” e “Il castello”. Sia nel primo che nel secondo, il protagonista lotta da solo contro qualcosa di grande e incombente, un’entità irraggiungibile contro cui ogni suo sforzo è vano. Ne “Il castello” l’agrimensore K,
protagonista assoluto, è talmente bistrattato dal mondo circostante e dall'autore, che non merita, al contrario degli altri personaggi, nemmeno un nome. La ricerca di questo impiego è causa di infinite vicissitudini per K. Questa impari lotta per far valere il suo diritto è fonte inesauribile di frustrazione, incomprensione e solitudine. Tutto il mondo che lo circonda sembra coalizzarsi contro di lui per
ostacolare la sua ricerca. Il "castello" nella sua lontananza e con la sua ferrea o ottusa burocrazia non gli consente nemmeno di avvicinarsi per presentare le sue istanze, tant'è che le sue ragioni non vengono respinte ma, peggio ancora, non vengono nemmeno
ascoltate. La gente del villaggio, ai piedi del castello, inquadrata nella propria vita e nella propria attività, non contenta ma succube della situazione, non riesce a comprendere e condividere le iniziative del protagonista. Da questo stato di cose non può che nascere incomprensione e diffidenza. Nel romanzo regna la frustrazione, la delusione, la solitudine; K non è altro che il prototipo di molte persone del nostro mondo contemporaneo.
Il romanzo che però prediligo e che, secondo me, meglio rappresenta lo spirito e la genialità allucinata di Franz Kafka è “Il processo”.
Questo romanzo è talmente intenso che, difficilmente, non lascia una segno indelebile in chi lo legge; molte, in effetti, sono le sensazioni intense che riesce a trasmettere nonostante la sua apparente semplicità. Se devo essere sincero mi ha sempre pressionato il modo sbrigativo e non scevro da una certa noncuranza con cui l’autore già dalle prime righe enuncia l’ingresso nella vita di Josef K, giovane procuratore di una importante banca, del dramma che da quel momento ne condizionerà la vita. Il giorno del suo trentesimo compleanno due sconosciuti si presentano da Josef K e gli comunicano che è in arresto, anche se non viene incarcerato, e che è stato avviato un processo nei suoi confronti. Nessun capo di imputazione specifica gli viene contestato. Da quel momento inizia il viaggio senza ritorno del protagonista. La vicenda narrata è semplice e lineare, lo scopo dell’autore non è quello di stupire, ma è quello di
trasmetterci coinvolgenti emozioni. Il testo si sviluppa con uno stile sobrio e pulito ed è affidato a un narratore apparentemente estraneo e distaccato; in realtà non è così. A un più attento esame si avverte che l’autore scrive ponendosi nella visione del tagonista di cui descrive minuziosamente ogni stato s’animo. Si ha così l’impressione di assistere a un resoconto asettico degli avvenimenti ma di fatto viviamo la vicenda con gli occhi del protagonista. Passo dopo passo, con l’ignaro protagonista, ci addentriamo nel suo dramma infinito. Assistiamo impotenti agli sforzi di Josef K che in tutti i modi cerca di sbrogliare la matassa intricatissima della storia in cui, a sua insaputa, è stato catapultato. Lo vediamo quindi impotente contro un mondo ostile di cui è incapace di comprendere logiche e meccanismi. Il protagonista, nonostante la sua incrollabile fede nel sistema e nella razionalità, viene avviluppato nelle infide spire di una realtà parallela e incomprensibile e viene spinto sempre più in basso verso il tragico epilogo che, per lui, qualcuno aveva già scritto. La lettura di questo romanzo rappresenta un viaggio surreale e coinvolgente in costante bilico tra incubo e realtà. L’autore spesso ci sorprende con evidenti anomalie e pesanti incongruenze sia nel testo che nella dinamica della vicenda. In effetti ci inganna con descrizioni dettagliatissime di fatti e persone facendoci credere di essere di fronte a qualcosa di concreto, poi all’improvviso
scombina le carte proponendoci situazioni palesemente irreali e prive di logica. Come già accennato, la storia assume gli aspetti tipici di un sogno, visioni oniriche in cui tutto appare reale pur non essendolo. Altre volte, invece, i luoghi e i personaggi, spesso solo abbozzati, sono inquietanti, ambigui, enigmatici ma hanno la capacità di restare impressi nella mente del lettore e contribuiscono a creare quello stato di ansia che accompagna tutta la vicenda. Mirabili e assurde sono per esempio le descrizioni dei tribunali del popolo
ubicati in improbabili soffitte di anonimi palazzi. Altrettanto cupa e incisiva è la descrizione dell’omelia nella chiesa in cui Josef K si è recato per accompagnare un importante cliente straniero. Un prete allucinato che predicando si rivolge proprio a lui e, nonostante l’uso di un discorso generico, gli annuncia l’incombente fine e l’esito del processo a suo carico. Da lì a poco si concretizzerà il tragico epilogo. Senza sapere il capo d’imputazione e senza aver potuto trovare un modo di difendersi Josef K si rassegna a subire la pena che il tribunale gli ha inflitto. In una improponibile esecuzione, Josef K si trova al centro di una cava solo, in una solitudine triste e desolante, con i suoi aguzzini. Un coltello lungo e affilato gli trafigge il cuore, ma il protagonista non si duole della condanna ma della indecenza dell’esecuzione, tant’è che ha ancora la forza di dire “Come un cane!”.
Non è sempre agevole leggere le opere di Kafka perché non sono certo qualcosa di idilliaco, non sono letture che possano far sognare. Sono testi che ti obbligano ad andare oltre le parole, oltre il loro senso letterale. Se però si ha la disponibilità a coglierne il messaggio, hanno la capacità di lasciarti una diversa e più consapevole visione del mondo che ci circonda.
Per leggere l'articolo e il giornale, ecco il sito : http://www.associazioneincontrarte.it/
mondiale. Non sono molti gli autori che possono vantare il fatto che la società ha avuto la necessità di utilizzare un aggettivo derivato dal loro nome; il termine “kafkiano” è entrato a pieno titolo nel nostro vocabolario per indicare qualcosa di molto particolare (inquieto,
angoscioso, desolante, paradossale,
allucinante, assurdo). Altrettanto particolare appare tutto quanto è riferito a questo autore e al suo mondo circostante e interiore. In lui si fondono molteplici influssi provenienti dalle sue radici come il gusto del mistero tipico della sua città natale Praga, il
senso di colpa e di persecuzione che accompagnano le sue origini ebree e certi aspetti dell’irrazionalità del romanticismo tedesco. Tutto ciò, probabilmente, non sarebbe stato sufficiente a creare l’unicità delle sue opere se egli non vi avesse portato le sue ossessioni,
angosce e turbamenti personali derivanti da un difficile rapporto con il padre, una malattia incombente che lo porterà alla morte e un amore infelice con una giovane intellettuale. A questo punto viene spontaneo chiedersi che cosa lo renda ancora attuale e perché il suo mondo assurdo e deformato sia così simile a quello che ci circonda. La risposta potrebbe risiedere nel fatto che Kafka mette
in luce il disagio dell’uomo di fronte all’impossibilità di definire la propria identità, di dare un senso alla vita e di dover affrontare un mondo incomprensibile, minaccioso e ostile in cui spesso si è chiamati a rispondere di colpe sconosciute. Ed è in questa ottica che Kafka scrive i due suoi più famosi romanzi “Il processo” e “Il castello”. Sia nel primo che nel secondo, il protagonista lotta da solo contro qualcosa di grande e incombente, un’entità irraggiungibile contro cui ogni suo sforzo è vano. Ne “Il castello” l’agrimensore K,
protagonista assoluto, è talmente bistrattato dal mondo circostante e dall'autore, che non merita, al contrario degli altri personaggi, nemmeno un nome. La ricerca di questo impiego è causa di infinite vicissitudini per K. Questa impari lotta per far valere il suo diritto è fonte inesauribile di frustrazione, incomprensione e solitudine. Tutto il mondo che lo circonda sembra coalizzarsi contro di lui per
ostacolare la sua ricerca. Il "castello" nella sua lontananza e con la sua ferrea o ottusa burocrazia non gli consente nemmeno di avvicinarsi per presentare le sue istanze, tant'è che le sue ragioni non vengono respinte ma, peggio ancora, non vengono nemmeno
ascoltate. La gente del villaggio, ai piedi del castello, inquadrata nella propria vita e nella propria attività, non contenta ma succube della situazione, non riesce a comprendere e condividere le iniziative del protagonista. Da questo stato di cose non può che nascere incomprensione e diffidenza. Nel romanzo regna la frustrazione, la delusione, la solitudine; K non è altro che il prototipo di molte persone del nostro mondo contemporaneo.
Il romanzo che però prediligo e che, secondo me, meglio rappresenta lo spirito e la genialità allucinata di Franz Kafka è “Il processo”.
Questo romanzo è talmente intenso che, difficilmente, non lascia una segno indelebile in chi lo legge; molte, in effetti, sono le sensazioni intense che riesce a trasmettere nonostante la sua apparente semplicità. Se devo essere sincero mi ha sempre pressionato il modo sbrigativo e non scevro da una certa noncuranza con cui l’autore già dalle prime righe enuncia l’ingresso nella vita di Josef K, giovane procuratore di una importante banca, del dramma che da quel momento ne condizionerà la vita. Il giorno del suo trentesimo compleanno due sconosciuti si presentano da Josef K e gli comunicano che è in arresto, anche se non viene incarcerato, e che è stato avviato un processo nei suoi confronti. Nessun capo di imputazione specifica gli viene contestato. Da quel momento inizia il viaggio senza ritorno del protagonista. La vicenda narrata è semplice e lineare, lo scopo dell’autore non è quello di stupire, ma è quello di
trasmetterci coinvolgenti emozioni. Il testo si sviluppa con uno stile sobrio e pulito ed è affidato a un narratore apparentemente estraneo e distaccato; in realtà non è così. A un più attento esame si avverte che l’autore scrive ponendosi nella visione del tagonista di cui descrive minuziosamente ogni stato s’animo. Si ha così l’impressione di assistere a un resoconto asettico degli avvenimenti ma di fatto viviamo la vicenda con gli occhi del protagonista. Passo dopo passo, con l’ignaro protagonista, ci addentriamo nel suo dramma infinito. Assistiamo impotenti agli sforzi di Josef K che in tutti i modi cerca di sbrogliare la matassa intricatissima della storia in cui, a sua insaputa, è stato catapultato. Lo vediamo quindi impotente contro un mondo ostile di cui è incapace di comprendere logiche e meccanismi. Il protagonista, nonostante la sua incrollabile fede nel sistema e nella razionalità, viene avviluppato nelle infide spire di una realtà parallela e incomprensibile e viene spinto sempre più in basso verso il tragico epilogo che, per lui, qualcuno aveva già scritto. La lettura di questo romanzo rappresenta un viaggio surreale e coinvolgente in costante bilico tra incubo e realtà. L’autore spesso ci sorprende con evidenti anomalie e pesanti incongruenze sia nel testo che nella dinamica della vicenda. In effetti ci inganna con descrizioni dettagliatissime di fatti e persone facendoci credere di essere di fronte a qualcosa di concreto, poi all’improvviso
scombina le carte proponendoci situazioni palesemente irreali e prive di logica. Come già accennato, la storia assume gli aspetti tipici di un sogno, visioni oniriche in cui tutto appare reale pur non essendolo. Altre volte, invece, i luoghi e i personaggi, spesso solo abbozzati, sono inquietanti, ambigui, enigmatici ma hanno la capacità di restare impressi nella mente del lettore e contribuiscono a creare quello stato di ansia che accompagna tutta la vicenda. Mirabili e assurde sono per esempio le descrizioni dei tribunali del popolo
ubicati in improbabili soffitte di anonimi palazzi. Altrettanto cupa e incisiva è la descrizione dell’omelia nella chiesa in cui Josef K si è recato per accompagnare un importante cliente straniero. Un prete allucinato che predicando si rivolge proprio a lui e, nonostante l’uso di un discorso generico, gli annuncia l’incombente fine e l’esito del processo a suo carico. Da lì a poco si concretizzerà il tragico epilogo. Senza sapere il capo d’imputazione e senza aver potuto trovare un modo di difendersi Josef K si rassegna a subire la pena che il tribunale gli ha inflitto. In una improponibile esecuzione, Josef K si trova al centro di una cava solo, in una solitudine triste e desolante, con i suoi aguzzini. Un coltello lungo e affilato gli trafigge il cuore, ma il protagonista non si duole della condanna ma della indecenza dell’esecuzione, tant’è che ha ancora la forza di dire “Come un cane!”.
Non è sempre agevole leggere le opere di Kafka perché non sono certo qualcosa di idilliaco, non sono letture che possano far sognare. Sono testi che ti obbligano ad andare oltre le parole, oltre il loro senso letterale. Se però si ha la disponibilità a coglierne il messaggio, hanno la capacità di lasciarti una diversa e più consapevole visione del mondo che ci circonda.
Per leggere l'articolo e il giornale, ecco il sito : http://www.associazioneincontrarte.it/
Libri
articolo Pubblicato Lunedì 13 Febbraio 2012 su 24Letture
Il Castello – di Franz Kafka
A volte mi domando se veramente Kafka sia un autore nato e vissuto oltre un secolo fa. Le problematiche che affronta nei suoi romanzi spesso sembrano scaturire dalla nostra realtà contemporanea. Il romanzo “Il castello” , secondo me, ne è un esempio. La vicenda tratta, infatti, un argomento oggi molto spinoso e ampiamente dibattuto: il lavoro. La storia narrata è abbastanza semplice e si può riassumere nel la spasmodica ricerca dell’agrimensore K, oggi potremmo chiamarlo più semplicemente geometra K, di ottenere il posto di lavoro che gli è stato promesso dal Signore del castello. La vicenda sotto un’apparente semplicità nasconde molteplici messaggi e punti di contatto con la nostra situazione contingente.
Il geometra K, protagonista assoluto, è talmente bistrattato dal mondo circostante e dall’autore, che non merita, al contrario degli altri personaggi, nemmeno un nome. La ricerca di questo impiego è causa di infinite vicissitudini per K. Questa impari lotta per far valere questo suo diritto è fonte inesauribile di frustrazione, incomprensione e solitudine. Tutto il mondo che lo circonda sembra coalizzarsi contro di lui per ostacolarlo nella sua ricerca.
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http://24letture.ilsole24ore.com/2012/02/il-castello-di-franz-kafka/
A volte mi domando se veramente Kafka sia un autore nato e vissuto oltre un secolo fa. Le problematiche che affronta nei suoi romanzi spesso sembrano scaturire dalla nostra realtà contemporanea. Il romanzo “Il castello” , secondo me, ne è un esempio. La vicenda tratta, infatti, un argomento oggi molto spinoso e ampiamente dibattuto: il lavoro. La storia narrata è abbastanza semplice e si può riassumere nel la spasmodica ricerca dell’agrimensore K, oggi potremmo chiamarlo più semplicemente geometra K, di ottenere il posto di lavoro che gli è stato promesso dal Signore del castello. La vicenda sotto un’apparente semplicità nasconde molteplici messaggi e punti di contatto con la nostra situazione contingente.
Il geometra K, protagonista assoluto, è talmente bistrattato dal mondo circostante e dall’autore, che non merita, al contrario degli altri personaggi, nemmeno un nome. La ricerca di questo impiego è causa di infinite vicissitudini per K. Questa impari lotta per far valere questo suo diritto è fonte inesauribile di frustrazione, incomprensione e solitudine. Tutto il mondo che lo circonda sembra coalizzarsi contro di lui per ostacolarlo nella sua ricerca.
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Viaggi
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 6 - Gennaio - Marzo 2011
Villa SAN MICHELE AD ANACAPRI
La visita dell’isola di Capri è sempre un’esperienza difficile da scordare anche se, spesso, si è costretti a muoversi entro circuiti preconfezionati e standardizzati. Quando si scende dall’aliscafo ci si mette tutti in fila come nella Metropolitana a Milano e si è convogliati verso l’uscita del porto dove già c’è qualcuno ad aspettarti. Se la giornata è bella, immediata visita in barca della famosa Grotta Azzurra, se si è sfortunati, ma sembra eccessivo come termine, escursione via mare ai famosi faraglioni.
Si passa quindi, senza soluzione di continuità, alla visita vera o propria della città di Capri: la celebratissima piazzetta, i vicoli, i giardini con vista sui faraglioni e la fabbrica di profumi. Luoghi bellissimi e affascinanti ma, probabilmente, troppo affollati e un po’ troppo commerciali. Le viuzze del centro sono costellate da negozi che non hanno nulla da invidiare ai negozi del centro di Milano, stesse firme e stessi prezzi. Quando il giro finisce, si potrà sempre dire “io ci sono stato” e se poi si incrocia un ersonaggio famoso la visita diventa ancora più memorabile. Quando propongono di passare ad Anacapri per visitare Villa San Michele, si è quasi infastiditi di dover lasciare l’affollato e rilucente centro, quasi un moderno luna park per grandi. Il rimpianto diventa ancora più forte quando ci si rende conto delle asperità e tortuosità della strada che sale verso la sommità dell’isola e della spavalderia
dei conducenti isolani.
Arrivati ad Anacapri e abbandonato il mezzo di trasporto, la situazione comincia a migliorare. Il contesto circostante diventa più tranquillo, più umano. I quattro passi, attraverso una serie continua di negozietti, diventano piacevoli e rilassanti. La folla l’abbiamo lasciata più giù, per fortuna sono poche le persone che hanno seguito il nostro esempio. Meglio così. Un cartello informa che si è giunti alla méta, un ingresso abbastanza anonimo si affaccia su una micro piazzetta. Se non fosse per un mosaico dorato attorno all’ingresso ad arco tondo, quasi non si noterebbe. Si varca la soglia e inizia qualcosa di inaspettato. Si comincia a camminare in una dimensione diversa.
La visita dell’isola di Capri è sempre un’esperienza difficile da scordare anche se, spesso, si è costretti a muoversi entro circuiti preconfezionati e standardizzati. Quando si scende dall’aliscafo ci si mette tutti in fila come nella Metropolitana a Milano e si è convogliati verso l’uscita del porto dove già c’è qualcuno ad aspettarti. Se la giornata è bella, immediata visita in barca della famosa Grotta Azzurra, se si è sfortunati, ma sembra eccessivo come termine, escursione via mare ai famosi faraglioni.
Si passa quindi, senza soluzione di continuità, alla visita vera o propria della città di Capri: la celebratissima piazzetta, i vicoli, i giardini con vista sui faraglioni e la fabbrica di profumi. Luoghi bellissimi e affascinanti ma, probabilmente, troppo affollati e un po’ troppo commerciali. Le viuzze del centro sono costellate da negozi che non hanno nulla da invidiare ai negozi del centro di Milano, stesse firme e stessi prezzi. Quando il giro finisce, si potrà sempre dire “io ci sono stato” e se poi si incrocia un ersonaggio famoso la visita diventa ancora più memorabile. Quando propongono di passare ad Anacapri per visitare Villa San Michele, si è quasi infastiditi di dover lasciare l’affollato e rilucente centro, quasi un moderno luna park per grandi. Il rimpianto diventa ancora più forte quando ci si rende conto delle asperità e tortuosità della strada che sale verso la sommità dell’isola e della spavalderia
dei conducenti isolani.
Arrivati ad Anacapri e abbandonato il mezzo di trasporto, la situazione comincia a migliorare. Il contesto circostante diventa più tranquillo, più umano. I quattro passi, attraverso una serie continua di negozietti, diventano piacevoli e rilassanti. La folla l’abbiamo lasciata più giù, per fortuna sono poche le persone che hanno seguito il nostro esempio. Meglio così. Un cartello informa che si è giunti alla méta, un ingresso abbastanza anonimo si affaccia su una micro piazzetta. Se non fosse per un mosaico dorato attorno all’ingresso ad arco tondo, quasi non si noterebbe. Si varca la soglia e inizia qualcosa di inaspettato. Si comincia a camminare in una dimensione diversa.
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Libri
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 7 - Aprile - Giugno 2011
“GERMINAL” di Emile Zola
Nei giorni scorsi mi è capitato di vedere un film il cui titolo mi ha fatto tornare alla mente un romanzo che è rimasto indelebilmente impresso nel mio animo: “Germinal” di Emile Zola. Dopo questo romanzo, che mi ha fatto conoscere e apprezzare l’autore francese, ho letto parecchi altri suoi lavori, ma nessuno ha lasciato dentro di me un ricordo così vivo ed emozionante. Se mai dovessi indicare un libro, non avrei dubbi, non consiglierei che questo. Non è un romanzo che fa sognare, che riempie l’animo di gioia ma è un pugno nello stomaco, un testo che ti trascina, anche se non vuoi, in un mondo che noi uomini moderni, che viviamo in realtà evolute, nemmeno possiamo immaginare, eppure non stiamo parlando di paesi del terzo mondo ma di una Francia alle soglie della rivoluzione industriale, verso la metà del milleottocento.
Il romanzo è un imponente affresco, uno spaccato crudo e impietoso di un’epoca, la fotografia di una realtà operaia alla vigilia di grandi cambiamenti sociali. La vicenda, ancorché strutturalmente semplice, è popolata da un elevato numero di personaggi e anche la folla, la massa, riesce a diventare uno di questi, un elemento importante e determinante. Il ritmo non è sempre elevatissimo, ma il romanzo, in puro stile naturalistico, non ha bisogno di correre, deve adattarsi alla vita dei minatori, lenta e pesante. I personaggi sono rappresentati in modo mirabile, sia nell’aspetto esteriore che in quello interiore, immagini a tinte forti sia nel bene che nel male, senza vie di mezzo, senza compromessi. (...)
Nei giorni scorsi mi è capitato di vedere un film il cui titolo mi ha fatto tornare alla mente un romanzo che è rimasto indelebilmente impresso nel mio animo: “Germinal” di Emile Zola. Dopo questo romanzo, che mi ha fatto conoscere e apprezzare l’autore francese, ho letto parecchi altri suoi lavori, ma nessuno ha lasciato dentro di me un ricordo così vivo ed emozionante. Se mai dovessi indicare un libro, non avrei dubbi, non consiglierei che questo. Non è un romanzo che fa sognare, che riempie l’animo di gioia ma è un pugno nello stomaco, un testo che ti trascina, anche se non vuoi, in un mondo che noi uomini moderni, che viviamo in realtà evolute, nemmeno possiamo immaginare, eppure non stiamo parlando di paesi del terzo mondo ma di una Francia alle soglie della rivoluzione industriale, verso la metà del milleottocento.
Il romanzo è un imponente affresco, uno spaccato crudo e impietoso di un’epoca, la fotografia di una realtà operaia alla vigilia di grandi cambiamenti sociali. La vicenda, ancorché strutturalmente semplice, è popolata da un elevato numero di personaggi e anche la folla, la massa, riesce a diventare uno di questi, un elemento importante e determinante. Il ritmo non è sempre elevatissimo, ma il romanzo, in puro stile naturalistico, non ha bisogno di correre, deve adattarsi alla vita dei minatori, lenta e pesante. I personaggi sono rappresentati in modo mirabile, sia nell’aspetto esteriore che in quello interiore, immagini a tinte forti sia nel bene che nel male, senza vie di mezzo, senza compromessi. (...)
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Viaggi
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 9 - Ottobre - Dicembre 2011
Sacro Monte di Varese – Un viaggio tra arte e spiritualità
Se ben due Papi, Paolo VI e Giovanni PaoloII, hanno ritenuto di dover venire in pellegrinaggio in questo luogo e se l’Unesco nel 2003 l’ha inserito nel patrimonio dell’Umanità, un motivo deve pur esserci. Per noi che abitiamo a Varese il nostro Sacro Monte è un tutt’uno con la città, qualcosa che siamo abituati a frequentare e a vivere, è qualcosa che è parte integrante della nostra vita e ci accompagna da sempre. La sua è una presenza discreta ma costante, è sempre lì alle nostre spalle e sembra sempre attenderci. Dal centro città si raggiunge in circa quindici minuti, una distanza modesta ma che divide due realtà assolutamente diverse. In quei pochi minuti, con il dislivello di circa cinquecento metri (da 350 m.sl. a circa 850/900 m), si passa da un affollato centro urbano a una realtà collinare, anzi prealpina, in una dimensione particolare, fuori dal tempo e dal traffico. Penso che la prima cosa che colpisce sia propria questa, la diversità … Ma questo è solo l’inizio.
Nonostante si possa giungere con l’autovettura o con i mezzi pubblici fino sulla sommità del Sacro Monte è consigliabile fermarsi molto prima, in località Prima Cappella. E’ proprio da lì che deve cominciare il nostro percorso, ovviamente e rigorosamente a piedi. Per indicare questo tragitto, non amo utilizzare termini come pellegrinaggio, ma preferisco chiamarlo viaggio, sì un viaggio tra arte, spiritualità e natura. Non facciamoci spaventare dalle parole, questo tragitto, a volte un po’ ripido, è alla portata di tutti, bambini compresi. Per noi è il più bello e affascinante percorso mariano esistente, forse pecchiamo di presunzione, ma non ci importa.
Un imponente arco dell’inizio del milleseicento ci introduce al sinuoso percorso acciottolato che conduce fino alla sommità. L’arco è la linea di demarcazione tra il mondo e l’inizio del viaggio. Appena superato, veniamo accolti da questo paesaggio che si dilata improvvisamente abbracciando il fianco del pendio e tutta la pianura sottostante. Nelle giornate limpide il nostro sguardo può spaziare incontrastato fino alla città di Milano. Non che l’idea di vedere questa metropoli ci possa entusiasmare più di tanto, ma è il senso di vastità e di ampiezza che affascina lo spettatore. La via si snoda lungo il fianco della montagna con un selciato largo circa dieci metri ed è suddiviso, idealmente, da maestosi archi in tre spezzoni che raggruppano le cappelle per soggetti omogenei ripresi dai Misteri del Rosario:Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi. Lungo il pendio si incontrano quattordici cappelle, la quindicesima, anomala rispetto alle altre, è il Santuario della Madonna del Monte. Questo complesso monumentale, la cui costruzione fu avviata all’inizio del 1600, fu fortemente voluta dall’anonimo frate cappuccino Gian Battista Aguggiari e dal famoso Cardinale Federico Borromeo. (...)
Se ben due Papi, Paolo VI e Giovanni PaoloII, hanno ritenuto di dover venire in pellegrinaggio in questo luogo e se l’Unesco nel 2003 l’ha inserito nel patrimonio dell’Umanità, un motivo deve pur esserci. Per noi che abitiamo a Varese il nostro Sacro Monte è un tutt’uno con la città, qualcosa che siamo abituati a frequentare e a vivere, è qualcosa che è parte integrante della nostra vita e ci accompagna da sempre. La sua è una presenza discreta ma costante, è sempre lì alle nostre spalle e sembra sempre attenderci. Dal centro città si raggiunge in circa quindici minuti, una distanza modesta ma che divide due realtà assolutamente diverse. In quei pochi minuti, con il dislivello di circa cinquecento metri (da 350 m.sl. a circa 850/900 m), si passa da un affollato centro urbano a una realtà collinare, anzi prealpina, in una dimensione particolare, fuori dal tempo e dal traffico. Penso che la prima cosa che colpisce sia propria questa, la diversità … Ma questo è solo l’inizio.
Nonostante si possa giungere con l’autovettura o con i mezzi pubblici fino sulla sommità del Sacro Monte è consigliabile fermarsi molto prima, in località Prima Cappella. E’ proprio da lì che deve cominciare il nostro percorso, ovviamente e rigorosamente a piedi. Per indicare questo tragitto, non amo utilizzare termini come pellegrinaggio, ma preferisco chiamarlo viaggio, sì un viaggio tra arte, spiritualità e natura. Non facciamoci spaventare dalle parole, questo tragitto, a volte un po’ ripido, è alla portata di tutti, bambini compresi. Per noi è il più bello e affascinante percorso mariano esistente, forse pecchiamo di presunzione, ma non ci importa.
Un imponente arco dell’inizio del milleseicento ci introduce al sinuoso percorso acciottolato che conduce fino alla sommità. L’arco è la linea di demarcazione tra il mondo e l’inizio del viaggio. Appena superato, veniamo accolti da questo paesaggio che si dilata improvvisamente abbracciando il fianco del pendio e tutta la pianura sottostante. Nelle giornate limpide il nostro sguardo può spaziare incontrastato fino alla città di Milano. Non che l’idea di vedere questa metropoli ci possa entusiasmare più di tanto, ma è il senso di vastità e di ampiezza che affascina lo spettatore. La via si snoda lungo il fianco della montagna con un selciato largo circa dieci metri ed è suddiviso, idealmente, da maestosi archi in tre spezzoni che raggruppano le cappelle per soggetti omogenei ripresi dai Misteri del Rosario:Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi. Lungo il pendio si incontrano quattordici cappelle, la quindicesima, anomala rispetto alle altre, è il Santuario della Madonna del Monte. Questo complesso monumentale, la cui costruzione fu avviata all’inizio del 1600, fu fortemente voluta dall’anonimo frate cappuccino Gian Battista Aguggiari e dal famoso Cardinale Federico Borromeo. (...)
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Viaggi
articolo apparso su incontrArte Magazine PERIODICO TELEMATICO DI INFORMAZIONE E CULTURA - n. 9 - Ottobre - Dicembre 2011
La Sagrada Familia – Barcellona
Se devo essere sincero, mi sono accostato a questa opera con numerosi preconcetti. Tutto partiva da lontano, poiché anche Antoni Gaudì mi aveva lasciato sempre perplesso. Le sue forme curve, i suoi colori intensi, l’apparente casualità, se non addirittura un certo disordine, mi avevano fatto ritenere che questo architetto avesse affrontato i suoi lavori con un approccio prettamente estetico e che quindi, tutto, fosse legato solo a una marcata originalità dell’immagine.
Per me le chiese, quelle importanti, affascinanti, coinvolgenti sono sempre state le cattedrali gotiche: Chartres, Notre Dame, Strasburgo, Friburgo, Milano. Sapevo che La Sagrada Familia, vista l’epoca di inizio lavori, non poteva che essere qualcosa di assolutamente diverso, ma non avevo ancora capito bene che cosa. Alcune immagini viste in precedenza non erano servite a darmi un’idea precisa o una chiave di lettura. Questa opera rappresentava, nel mio immaginario, qualcosa di stilisticamente indefinito. Girando per Barcellona avevo avuto l’opportunità di vederla in lontananza da più angolazioni, le torri protese verso il cielo mi avevano fatto sperare che, ancorché camuffata, la chiesa celasse almeno qualche caratteristica delle strutture neogotiche, magari rivista in chiave moderna. Quando finalmente mi sono trovato davanti ho dovuto ammettere che non avevo capito niente. Non saprei dire qual è stato il mio primo sentimento: stupore, ammirazione, gioia … probabilmente emozione. Emozione, questo è il termine giusto! Mi sono sentito sopraffare dalla sua maestosità e dal suo slancio verso l’alto. Nonostante le dimensioni, ho avuto l’impressione della “leggerezza”. Che il passaggio dallo stile romanico a quello gotico abbia segnato un alleggerimento delle strutture è risaputo, ma in questo caso, per me, era come se il gotico avesse subito un’ulteriore riduzione dimensionale alla base. Ho guardato e riguardato, Gaudì ha eliminato i contrafforti tipici del gotico e con questo ha sovvertito nuovamente l’arte di costruire. Con modellini in scala e un attentissimo calcolo sulla distribuzione dei pesi aveva ottenuto strutture solide ma leggere, per esempio le torri o guglie della chiesa, all’interno sono vuote e la stabilità è stata ottenuta grazie alle scale a chiocciola che partono dalla base e raggiungono la sommità. A conferma che la costruzione è avvenuta in modo non tradizionale, alcune foto dell’epoca mostrano che la costruzione è proprio iniziata con le guglie, le navate sono state realizzate successivamente. (...)
Se devo essere sincero, mi sono accostato a questa opera con numerosi preconcetti. Tutto partiva da lontano, poiché anche Antoni Gaudì mi aveva lasciato sempre perplesso. Le sue forme curve, i suoi colori intensi, l’apparente casualità, se non addirittura un certo disordine, mi avevano fatto ritenere che questo architetto avesse affrontato i suoi lavori con un approccio prettamente estetico e che quindi, tutto, fosse legato solo a una marcata originalità dell’immagine.
Per me le chiese, quelle importanti, affascinanti, coinvolgenti sono sempre state le cattedrali gotiche: Chartres, Notre Dame, Strasburgo, Friburgo, Milano. Sapevo che La Sagrada Familia, vista l’epoca di inizio lavori, non poteva che essere qualcosa di assolutamente diverso, ma non avevo ancora capito bene che cosa. Alcune immagini viste in precedenza non erano servite a darmi un’idea precisa o una chiave di lettura. Questa opera rappresentava, nel mio immaginario, qualcosa di stilisticamente indefinito. Girando per Barcellona avevo avuto l’opportunità di vederla in lontananza da più angolazioni, le torri protese verso il cielo mi avevano fatto sperare che, ancorché camuffata, la chiesa celasse almeno qualche caratteristica delle strutture neogotiche, magari rivista in chiave moderna. Quando finalmente mi sono trovato davanti ho dovuto ammettere che non avevo capito niente. Non saprei dire qual è stato il mio primo sentimento: stupore, ammirazione, gioia … probabilmente emozione. Emozione, questo è il termine giusto! Mi sono sentito sopraffare dalla sua maestosità e dal suo slancio verso l’alto. Nonostante le dimensioni, ho avuto l’impressione della “leggerezza”. Che il passaggio dallo stile romanico a quello gotico abbia segnato un alleggerimento delle strutture è risaputo, ma in questo caso, per me, era come se il gotico avesse subito un’ulteriore riduzione dimensionale alla base. Ho guardato e riguardato, Gaudì ha eliminato i contrafforti tipici del gotico e con questo ha sovvertito nuovamente l’arte di costruire. Con modellini in scala e un attentissimo calcolo sulla distribuzione dei pesi aveva ottenuto strutture solide ma leggere, per esempio le torri o guglie della chiesa, all’interno sono vuote e la stabilità è stata ottenuta grazie alle scale a chiocciola che partono dalla base e raggiungono la sommità. A conferma che la costruzione è avvenuta in modo non tradizionale, alcune foto dell’epoca mostrano che la costruzione è proprio iniziata con le guglie, le navate sono state realizzate successivamente. (...)
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Libri
articolo Pubblicato il giovedì 29 dicembre 2011 su 24Letture
“Il Processo” di Franz Kafka
In questi giorni ho deciso di rileggere “Il Processo” di Franz Kafka. Perché proprio ora, dopo parecchi anni dalla prima lettura? Non penso ci sia un motivo chiaro e specifico ma, forse, il clima cupo che ci circonda e ci sovrasta in questo periodo sta evocando in me le stesse sensazioni angosciose che mi aveva suscitato allora la lettura di questo libro. Mi viene spontaneo pensare che ognuno di noi, oggi, si possa sentire un po’ come Josef K: impotente contro un mondo ostile di cui è incapace di comprendere logiche e meccanismi. Il protagonista, nonostante la sua incrollabile fede nel sistema e nella razionalità, viene avviluppato nelle infide spire di una realtà parallela e incomprensibile e viene spinto sempre più in basso verso il tragico epilogo che, per lui, qualcuno aveva già scritto. La lettura di questo romanzo rappresenta un viaggio surreale e coinvolgente in costante bilico tra incubo e realtà. I luoghi e i personaggi, spesso solo abbozzati, sono inquietanti, ambigui, enigmatici ma hanno la capacità di restare impressi nella mente del lettore e contribuiscono a creare quello stato di ansia che accompagna tutta la vicenda. Sono certo non sia una lettura idilliaca che possa far sognare, ma anche il mondo in cui viviamo non è certo un paradiso terrestre, specialmente ora.
In questi giorni ho deciso di rileggere “Il Processo” di Franz Kafka. Perché proprio ora, dopo parecchi anni dalla prima lettura? Non penso ci sia un motivo chiaro e specifico ma, forse, il clima cupo che ci circonda e ci sovrasta in questo periodo sta evocando in me le stesse sensazioni angosciose che mi aveva suscitato allora la lettura di questo libro. Mi viene spontaneo pensare che ognuno di noi, oggi, si possa sentire un po’ come Josef K: impotente contro un mondo ostile di cui è incapace di comprendere logiche e meccanismi. Il protagonista, nonostante la sua incrollabile fede nel sistema e nella razionalità, viene avviluppato nelle infide spire di una realtà parallela e incomprensibile e viene spinto sempre più in basso verso il tragico epilogo che, per lui, qualcuno aveva già scritto. La lettura di questo romanzo rappresenta un viaggio surreale e coinvolgente in costante bilico tra incubo e realtà. I luoghi e i personaggi, spesso solo abbozzati, sono inquietanti, ambigui, enigmatici ma hanno la capacità di restare impressi nella mente del lettore e contribuiscono a creare quello stato di ansia che accompagna tutta la vicenda. Sono certo non sia una lettura idilliaca che possa far sognare, ma anche il mondo in cui viviamo non è certo un paradiso terrestre, specialmente ora.